L’attuazione delle riforme avanza, ma ancora più velocemente cresce il numero dei decreti da fare e per i quali il tempo assegnato dal legislatore è scaduto. I provvedimenti fuori tempo massimo necessari per tradurre in pratica le misure del Governo Conte erano, poco più di un mese fa, 25. Ora sono 60: quasi triplicati. Una fuga in avanti più forte di quella fatta registrare sul fronte dell’attuazione, che – sempre con riferimento alle riforme dell’attuale Esecutivo – è aumentata di otto punti percentuali, passando dall’11,2 di trenta giorni fa al 19 di adesso. Tradotto in valori assoluti, significa 18 decreti attuativi arrivati al traguardo.
Una perfomance che, però, lascia praticamente inalterato il numero di provvedimenti ancora da fare: erano 167 nell’ultimo monitoraggio e sono diventati 166. Questo per effetto del nuovo ingresso, nel quadro delle riforme, della legge su quota 100 e reddito di cittadinanza, che ha portato un carico di altri 17 atti applicativi da predisporre. Se, poi, si aggiunge al fardello del Governo Conte quello della scorsa legislatura, il conto sale. Infatti, alcune riforme di Letta, Renzi e Gentiloni necessitano ancora, per diventare pienamente operative, di 150 provvedimenti. Eredità che fa lievitare il bilancio complessivo a 316 decreti mancanti all’appello. Numeri che riguardano solo le misure messe in campo dai quattro Esecutivi – i tre della passata legislatura e quello attuale – per cercare di ridare slancio alla crescita economica. Questa è, infatti, l’area che il Rating del Sole 24 Ore prende in considerazione anche attraverso le rilevazioni dell’Ufficio per il programma di Governo di Palazzo Chigi.
Il Governo Conte
L’affondo l’ha dato la legge di bilancio, con i suoi 112 decreti attuativi da mettere in campo. La manovra di fine anno ha portato a 188 i provvedimenti applicativi contenuti nelle riforme economiche varate dal Governo Conte, di cui solo 21 arrivati al traguardo, con una percentuale di attuazione all’11,2% (si veda il Sole 24 Ore del 6 marzo). Questa era la situazione fotografata a fine febbraio dal report dell’Ufficio per il programma di Governo, il primo dopo un silenzio di otto mesi. Il precedente risaliva a giugno 2018. Periodo durante il quale il lavoro dell’Ufficio è andato avanti, ma, in assenza del via libera politico, sottotraccia.
Il nuovo recente monitoraggio, che prende in considerazione la situazione fino a fine marzo, ci dice che i decreti attuativi da fare sono ora – per effetto dei 17 di quota 100 e reddito di cittadinanza – 205, di cui 39 arrivati in porto: negli ultimi giorni si è, infatti, aggiunto il decreto, previsto dalla manovra di fine anno, che assegna le risorse ai commissari delegati agli investimenti per la mitigazione del rischio idrogeologico. La percentuale di attuazione è,pertanto, salita al 19 per cento. I provvedimenti in attesa sono, dunque, 166. Di questi ultimi, 60 – di cui 43 attribuibili alla legge di bilancio – sono già in ritardo. Nel senso che sono scaduti. Un elemento che, da un punto di vista pratico, non ha ricadute, perché quei provvedimenti si potranno comunque fare. Dà, però, il segno dell’affanno del legislatore, che fissa limiti e non è in grado di rispettarli.
Al riguardo non si può neanche invocare l’attenuante dell’età della riforma: è chiaro che una misura più recente ha perfomance di attuazione minori (è il caso, per esempio, di quota 100 e reddito di cittadinanza). Qui, però, si parla di provvedimenti fuori tempo massimo. In tutto questo discorso non bisogna dimenticare che le riforme sono appese all’attuazione solo in parte, perché per una quota sono auto-applicative. Per la loro piena operatività, tuttavia, devono comunque affrontare la fatica dei decreti attuativi.
L’eredità
Fatica che si trascina di Governo in Governo. I tre Esecutivi della precedente legislatura avevano prodotto un carico – sempre con riferimento alle misure per la crescita – di 940 provvedimenti applicativi. Una parte dei quali ereditati dal Governo Conte, che prosegue l’opera di attuazione. Le misure varate da Letta sono praticamente arrivate tutte al traguardo (a fine marzo il tasso di attuazione era al 96,7%), quelle di Renzi sono al 90,8 e le riforme di Gentiloni al 57,8. Va, poi, considerato che quanto più lo stock di decreti attuativi risale nel tempo, tanto più si può assottigliare per cause “fisiologiche”: alcuni interventi possono, infatti, risultare inutili perché sorpassati da misure più recenti. Come vuole la normale dialettica legislativa.