A prendere la parola in una sala piena — perché se la commozione è finita in fretta, il ricordo resta e le idee diventano un patrimonio comune — è «l’ultimo dei sopravvissuti». Si definisce così, Antonio Baravalle, ora ad di Lavazza ma ai tempi quarantenne direttore marketing di Alfa Romeo, perché così lo aveva etichettato Sergio Marchionne, invitandolo ad un colloquio di due ore. «In Fiat aveva già fatto piazza pulita di una quindicina di colleghi. Mi chiese che cosa ne pensassi dell’azienda. Dissi che Lancia andava chiusa. E, appunto, mi nominò direttore di Lancia. Marchionne era così, un simpatico matto totale, uno distruttivo e costruttivo al tempo stesso, capace di rompere gli schemi ma di trovare soluzioni, lasciando liberare l’entropia positiva dell’ambiente in cui lavorava. Così rischiò mettendo ai vertici del gruppo dei quarantenni».
«Oddio — lo rimbecca Alberto Bombassei —: forse chi fu lasciato a casa non lo avrà apprezzato così, ma a Marchionne vanno ascritti meriti innegabili, tra cui una grande passione per la produzione e gli investimenti innovativi. Quando Fiat uscì da Confindustria ero vice presidente e pur pensando personalmente che avesse ragione, non presi posizione. Se lo avessi fatto Confindustria si sarebbe spaccata». Ma la stima tra i due non venne mai meno. «Di lì a poco mi sarei candidato per la presidenza. Marchionne mi disse che se ce l’avessi fatta, Fiat sarebbe ritornata a far parte dell’associazione».
*Corriere di Bergamo, 28 ottobre 2018