C’è una battuta di Fedele De Novellis, direttore di Ref Ricerche, che serve a sintetizzare la fase che stiamo vivendo: «Ormai sono i numeri a inseguire la realtà, siamo costretti ad adeguare le previsioni quasi di continuo. E’ da sei mesi che viviamo così». In questo contesto il giudizio di Bankitalia che ipotizza la recessione tecnica già nel 2018 non sorprende più di tanto. Bisognerà attendere il responso ufficiale dell’Istat previsto per il 31 gennaio per sapere se il Pil del quarto trimestre ‘18 sarà andato sottozero ma già cominciano a circolare le prime correzioni sul 2019. Sempre nel bollettino di Via Nazionale la stima indicata è dello 0,6% ed è però opinione di molti analisti che assai difficilmente verrà raggiunta.
Per centrare quell’obiettivo occorrerebbe forse che tutti gli 11 miliardi stanziati dal governo per le pensioni e il reddito di cittadinanza finissero a sostenere i consumi ma sarà davvero così? L’en plein pare difficile e infatti le stime indipendenti sul 2019 sono molto meno ottimistiche rispetto a Bankitalia, si parla addirittura di 0,3. Via via nei prossimi giorni e settimane gli istituti di ricerca, le maggiori banche e successivamente Confindustria renderanno pubbliche le loro stime e ne sapremo di più. Il quesito sul tavolo può essere sintetizzato così: la recessione sarà tutto sommato veloce e limitata, come sembra suggerire il bollettino, oppure dovremo fare i conti con una frenata destinata a prolungarsi nel tempo? In questa sede vale solo la pena ricordare che il quadro di finanza pubblica approvato alla fine di dicembre si basa su una previsione del Pil ‘19 a +1,0, previsione che quantomeno è in contrasto con l’affermazione («siamo in stagnazione») fatta dal ministro Giovanni Tria nell’intervista al Corriere. Se poi proiettiamo numeri e stime sulle scelte politiche che si dovranno fare nel prossimo Def sono ovviamente dolori, con la «bomba» delle maxi-clausole di salvaguardia degli aumenti dell’Iva pronta ad esplodere.
Se dalle stime passiamo al racconto dell’economia reale i riscontri vanno nella stessa direzione. Nel consiglio generale di Confindustria che si è tenuto mercoledì a Roma tutti gli interventi dei presidenti delle territoriali e delle categorie si sono espressi in maniera molta dura nei confronti del governo Conte. Che di fronte al drastico mutamento del ciclo economico mondiale si è girato dall’altra parte, non ha messo in atto gli investimenti atti a contrastarlo e si è concentrato sul mix redistribuzione/mercato del lavoro. Dall’Emilia-Romagna, regione che aveva goduto a pieno della ripresa iniziata nel 2015, arrivano segnali di rallentamento generalizzato con portafogli ordini che si accorciano, stop a investimenti e assunzioni. Persino dall’autostrada A4, uno degli indicatori più significativi del ritmo dell’economia del Nord, giungono prime indicazione di riduzione del traffico dei Tir. Per ora se ne possono scorgere segnali nei dati Anas ma bisognerà attendere il riscontro ufficiale della società Autostrade. Dal Veneto oltre al calo degli ordini e la riduzione dell’export si segnala un paradosso: il rallentamento è evidentissimo ma ci sono imprese alla costante ricerca di manodopera che non c’è. Persino la ristorazione fatica a trovare i cuochi. Come si spiega? Probabilmente con un’ulteriore accentuazione della polarizzazione dentro il sistema delle imprese, con una élite di imprese veloci che non sentono la frenata e un corpaccione di Pmi molto preoccupate per la loro stessa sopravvivenza. In questo contesto il “partito del Pil” è chiamato a un doppio compito: darsi una piattaforma capace di andare oltre il tema della Tav e ammettere che corteggiare i leghisti di territorio, sperando che ribaltassero la politica economica del governo, si è rivelata una pia illusione.