Non è passato inosservato in Italia che gli attacchi nella stampa tedescasiano apparsi tutti nei giorni scorsi e con gli stessi toni sprezzanti. Persino Sergio Mattarella vi ha fatto riferimento ieri nel suo messaggio dal Quirinale, quando ha parlato di «inaccettabili e grotteschi giudizi apparsi sugli organi di stampa di un Paese europeo». Di uno solo, ma simultanei, offensivi e fuorvianti nei fatti. Come se vi fosse una sensibilità diffusa di quel tipo solo in Germania o se qualcuno negli ambienti politici di Berlino avesse alimentato un gruppo di giornalisti. A 60 milioni di italiani lo Spiegel ha dato dei «barboni».
Qualcosa del genere era accaduto anni fa alla Grecia, con la copertina della Venere di Milo dal dito medio alzato: riferita a un Paese che vive la peggiore catastrofe mai vista in tempo di pace in Europa, in buona parte a causa degli errori che gli sono stati imposti su insistenza di Berlino. Uno studio del 2013 di Daniel Leigh e Olivier Blanchard, allora capoeconomista del Fondo monetario internazionale, dimostra come in Grecia (e non solo) la Trojka abbia sbagliato del tutto, per difetto, le stime sui danni che la stretta di bilancio avrebbe prodotto sull’economia e l’occupazione. Ogni stretta di bilancio pari all’1% del Pil ha fatto crollare il Pil stesso dell’1% più del previsto. Errori simili sono costati milioni di posti di lavoro, e non solo in Grecia.
Ciò che sorprende oggi non è che quello studio di Blanchard sia stato rimosso dal dibattito sull’area euro: quasi nessuno ne parla. Colpisce piuttosto come il conformismo e i cliché di una certa stampa tedesca — ieri sulla Grecia, oggi sull’Italia — sembrino preparare l’opinione pubblica all’atteggiamento che il governo di Berlino intende tenere se si arrivasse a uno scontro. Con il tramonto del tentativo giallo-verde ieri sera a Roma la minaccia (forse) non è più imminente, ma la prospettiva non è affatto tramontata. L’idea di fondo nel governo tedesco è semplice come lo fu per Atene a guida populista nel 2015: non cedere, non concedere, non permettere a un Paese di condizionare il sistema con la minaccia dell’uscita dall’euro; aspettare che lo stress finanziario sempre più acuto metta spalle al muro il governo ribelle per poi imporre le condizioni che funzionano meglio nei sondaggi per i partiti di governo in Germania. A qualunque prezzo per il Paese coinvolto.
Anche per questo il dibattito sul caso italiano in Europa in questi giorni si è sviluppato su due punti: quali strumenti usare e quali condizioni imporre per salvare l’Italia, se necessario; e come isolare al massimo gli altri Paesi dalla deflagrazione di una eventuale uscita italiana dall’euro.
Ora lo scenario cambia, in parte, perché in Italia si riaffacciano le elezioni. E questa Germania, per come si muove in Europa, torna ad essere la migliore alleata di fatto e il più grande regalo per gli anti-europei d’Italia. La percezione che ottenga sistematicamente per se stessa strappi alle regole che la indignano sugli altri Paesi è ovunque. La Commissione Ue non ha ancora dichiarato «eccessivo» il surplus esterno tedesco, benché da cinque anni sia molto sopra i massimi consentiti e le politiche tedesche vadano in direzione opposta alle richieste. Dai criteri contabili, ai requisiti di capitale per le banche di sviluppo, alla ricapitalizzazione delle banche pubbliche con denaro dei contribuenti, alla garanzie statali sul sistema del credito per centinaia di miliardi, alle banche sottratte alla vigilanza Bce: le eccezioni alle regole a favore della Germania sono ovunque, sugli stessi temi per i quali l’Italia è spesso accusata. Berlino può prendere impegni, come sull’assicurazione dei depositi, poi rimangiarli. Questa Germania rigida solo con gli altri oggi è il principale ostacolo al discorso degli europeisti degli altri Paesi.
Le prossime elezioni politiche in Italia saranno di fatto un referendum sull’euro e l’appartenenza all’Unione Europea. Durissime, perché in condizioni di mercato avverse proprio per il rischio di rottura che implicano. Per ora da Berlino arrivano aiuti, di fatto, solo ai nemici dell’Europa.