«Se ci fosse un referendum, voterei no». Il presidente della Camera Roberto Fico torna a parlare di Tav, dopo la lettera pubblicata ieri su La Stampa, e sferza gli alleati della Lega. La vera necessità della politica – ribadisce Fico a margine della commemorazione delle vittime della strage di Piazza Fontana – non è quella di indire un referendum che «il Movimento, da sempre schierato contro la Tav, non può volere», quanto piuttosto quella di «comprendere che tipo di società si vuole costruire. Per le energie rinnovabili, per l’abbandono del carbone, del gas e delle fonti fossili: secondo me la Tav non va in questa direzione».
La visione d’insieme proposta dal presidente della Camera, che dal progetto dall’alta velocità Torino-Lione allarga lo sguardo a un diverso modello di sviluppo per il Paese, si scontra con le convinzioni degli alleati di governo della Lega. «Se la questione viene posta da un punto di vista filosofico», avverte il viceministro ai Trasporti Edoardo Rixi, «allora è evidente che noi siamo favorevoli al Tav, alle grandi opere e a uno sviluppo del Paese che guarda alle imprese». Ma anche all’interno del Movimento c’è chi si discosta dalla linea di Fico. La proposta di referendum, ritenuta inaccettabile dal presidente della Camera, vede infatti il placet del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. E Silvio Berlusconi, ospite a Porta a porta, soffia ulteriormente sul fuoco: «Ho sentito Salvini, ho parlato direttamente con lui. Mi ha detto di essere assolutamente convinto che la Tav vada fatta, senza referendum».
La miccia dello scontro sulle grandi opere è accesa da tempo all’interno della maggioranza. «Sappiamo benissimo che il conflitto con la Lega scoppierà con la pubblicazione dell’analisi costi benefici», sostiene Luca Carabetta, deputato piemontese e volto emergente del M5S. La convinzione diffusa, all’interno dei Cinque stelle, è che dal dossier del ministero dei Trasporti non possa che arrivare una bocciatura del progetto dell’alta velocità in Val Susa. «Perché al di là dell’ammodernamento della linea storica, per noi il problema resta il tunnel di base. E quello non è migliorabile. O si fa o non si fa», dice Carabetta. Ma il rischio più grande per il Movimento, spiega il Cinque stelle Andrea Colletti, deputato vicino alla corrente ortodossa guidata da Fico, è che «non potremmo mai sopportare un sì al Tav. Non terrebbe il gruppo parlamentare né la rete di attivisti sul territorio. Rischieremmo di implodere».
C’è chi all’interno della maggioranza, tra le file della Lega, aspetta proprio l’incidente che possa aprire una crisi di governo. Il viceministro Rixi, invece, tenta la via pragmatica. Se dalla Francia o da Bruxelles dovesse arrivare una frenata sulle tempistiche di completamento della Torino-Lione, «se ci dicessero che verrà completata dopo il 2030, allora potremmo anche pensare di trovare soluzioni alternative». Il problema, per Rixi, è quello di «rispondere in un tempo ragionevole alle esigenze delle nostre aziende. Dobbiamo evitare che muoiano perché tenute fuori dalle vie del commercio. Se per la Tav ci diranno che ci vorrà troppo tempo, potremmo convogliare i nostri sforzi sui valichi alpini, dalla Genova-Ventimiglia al Brennero».
Al di là della diplomazia e delle alternative proposte, resta dunque una certa distanza tra la «visione del mondo» proposta da Fico e quella di matrice leghista. Divergenze ampie, che travalicano le posizioni della maggioranza di governo. E che arrivano sia dalle opposizioni, dove viene bollata come «pauperista» la proposta del presidente della Camera, sia dalla società civile. Mino Giachino, promotore della petizione «sì Tav» e tra gli organizzatori della piazza del 10 novembre, invita Fico ad «aprire un dibattito in Parlamento, l’unico che possa modificare le decisioni assunte negli anni scorsi. E non si affidi a una analisi costi e benefici faziosa come quella di Toninelli».