Alla fine il centrodestra si è ricompattato, accelerando sulla strada aperta dalla Lega che potrebbe condurre, tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2020, al referendum abrogativo della legge elettorale in vigore (il «Rosatellum») capace poi di introdurre (per sottrazione) un sistema maggioritario all’inglese. Il piano per arginare le tentazioni proporzionali della nuova maggioranza di governo sarà determinato dai consigli regionali a guida di centrodestra (Lombardia, Veneto e Sardegna e Friuli-Venezia Giulia) che hanno approvato le mozioni proposte dalla Lega e da Fratelli d’Italia per la richiesta del referendum abrogativo. E in extremis, grazie all’intervento di Silvio Berlusconi che in un primo momento si era espresso per l’astensione, si è accodata anche Forza Italia.
L’articolo 75 della Costituzione prevede che siano minimo 5 le regioni concordi nel chiedere un referendum abrogativo. Il senatore Calderoli è convinto che entro lunedì 30 si aggiungeranno anche il Piemonte e la Basilicata e non dispera anche per la Liguria e l’Abruzzo: «Lunedì mattina andremo in Corte di Cassazione a depositare il quesito referendario, in questo modo sarà possibile far esprimere gli italiani già in primavera» . Per mettere in moto il complesso calendario la richiesta va depositata entro lunedì 30 settembre. Già domani sera potrebbero arrivare il sì alla richiesta anche del Piemonte. A Genova, invece, le cose vanno a rilento perché l’altra sera c’è stato uno stop inatteso in commissione. Mentre all’Aquila la vicepresidente grillina della I commissione, Sara Marcozzi, ha beffato il presidente della Lega Vincenzo D’Incecco (che era in ritardo), aprendo e chiudendo la seduta poi rinviata al primo ottobre. Ormai fuori tempo massimo e così, nella concitazione che si è creata, nel corridoi del consiglio regionale sono dovuti intervenire i carabinieri per ristabilire la calma.
La svolta per la Lega è arrivata quando Silvio Berlusconi ha fatto diramare il suo contrordine: due giorni fa le direttive di Arcore erano per l’astensione ma poi la posizione è cambiata, lasciando ai consiglieri azzurri la libertà di voto. Qualora fosse formalizzata entro il 30 settembre, la richiesta sulla legge elettorale dovrà superare l’esame di legittimità (Cassazione, entro ottobre) e quello di ammissibilità (Consulta entro il 10 febbraio). Stefano Fracasso, capogruppo Pd in Veneto, accusa il presidente Luca Zaia di non averci messo la faccia: «Non ha detto una parola in aula». Per il presidente Attilio Fontana, invece, un «segnale forte e chiaro» è già stata dato: «Il centrodestra ha dimostrato di essere compatto». Ma a decidere sarà la Consulta: «Questo referendum — osserva Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera — nasce con un forte profilo di incostituzionalità: perché, secondo quanto stabilisce la Corte, la normativa di risulta deve sempre produrre una legge elettorale immediatamente applicabile. Ma l’eliminazione dei collegi plurinominali (proporzionale) renderebbe inapplicabile la parte sopravvissuta del “Rosatellum”».