L’Italia «avrà fra i tre e i sei mesi» per rispettare le richieste della Commissione europea, e «ciò coinciderà con l’inizio del mandato del nuovo esecutivo comunitario». Il futuro della maggioranza e della diciottesima legislatura repubblicana dipende in gran parte da queste parole pronunciate da Pierre Moscovici nella riunione che una decina di giorni fa ha avviato la procedura di infrazione per debito contro l’Italia. Matteo Salvini e Luigi Di Maio lo sanno bene, e per questo al vertice di governo di oggi non se ne parlerà. A prendere tempo è soprattutto il primo, preoccupato di calmare la fronda che monta dai colonnelli del Nord, più forti che mai dopo aver vinto la sfida delle Olimpiadi invernali del 2026. Oggi si parlerà del dossier autonomie, e solo di quello: prima di fare concessioni sui conti pubblici il leader della Lega vuole garanzie sul tema caro ai governatori veneto e lombardo, Luca Zaia e Attilio Fontana.
Il problema della maggioranza non è se trattare, ma come e con quale obiettivo. Giuseppe Conte è incredulo, considera «incomprensibile» che Salvini avanzi pubblicamente pretese sui tre miliardi che verrebbero risparmiati quest’anno alle voci reddito di cittadinanza e anticipo pensionistico. Il leghista vorrebbe destinarli alla copertura della sbandieratissima flat tax, anticipando la manovra e neutralizzando così il pressing della Commissione. Detta più prosaicamente: Salvini ha chiaro che Bruxelles pretende da Conte anche garanzie sui conti del 2020, e ciò significherebbe condizionare sin d’ora le scelte dell’autunno. Questo però è quel che dicono le regole: la procedura per infrazione sul debito richiede interventi strutturali, non una tantum. Per essere ancora più chiari: le risposte che fornirà l’Italia riguarderanno soprattutto i conti di quest’anno, ma l’Unione vuole esser certa che parte di quei risparmi siano tali anche l’anno prossimo e per una cifra non inferiore ai quattro-cinque miliardi di euro.
Le voci che filtrano da Palazzo Chigi servono a sottolineare proprio questo: «Salvini sa che non possiamo disporre di quei risparmi come vogliamo». C’è una grossa differenza tra la procedura che l’Italia ha scongiurato alla fine dell’anno scorso e quella che ci tiene sulle spine oggi. Ecco perché a margine dell’ultimo vertice a Bruxelles il premier ha drammatizzato la situazione e mandato un avvertimento a entrambi i vice: «In molti stanno sottovalutando il momento». C’è di più: al Tesoro c’è chi ricorda che l’Italia aveva già preso l’impegno di trasformare ogni euro risparmiato con sussidi e pensioni in minor disavanzo. Difficile immaginare che il leader del Carroccio non abbia tutto chiaro. Il punto è un altro: se Salvini si convincesse che l’esito della trattativa gli impedirà la manovra che ha in testa, ci sono buone probabilità che rompa gli indugi e chiuda l’esperienza del governo gialloverde prima di iniziare a pagarne le conseguenze politiche. Il momento per lui è propizio: sondaggi ai massimi, Cinque Stelle sull’orlo di una crisi di nervi, Berlusconi disposto a scendere a patti con lui, come dimostra la scelta del filoleghista Giovanni Toti come coordinatore di Forza Italia. Alla Commissione non conviene esasperare i toni, perché a sua volta sa che potrebbe essere l’alibi perfetto di una crisi in Italia. «Con l’Italia occorre usare un linguaggio sfumato ma chiaro, rigoroso senza essere eccessivamente severo», ha detto il presidente Jean Claude Juncker nella riunione dell’esecutivo comunitario del 18 giugno di cui ieri è uscita la trascrizione. Ecco perché oggi il collegio dei commissari prenderà a sua volta tempo e non deciderà nulla. Il duello dovrà chiudersi il 2 luglio o in ogni caso alla riunione dei ministri finanziari europei del 9: per allora uno dei contendenti dovrà aver tirato fuori l’arma. Inutile dire che l’Italia corre il rischio di pagare il prezzo più alto.