Mentre il Parlamento continua a lavorare sulla conversione in legge del decreto che istituisce il Reddito di cittadinanza (prevista al massimo per il 29 marzo) si cominciano a stilare i primi bilanci sulle domande già pervenute e sulla composizione dei richiedenti. Va ricordato che i canali di prenotazione sono tre (Poste, Internet e i Caf) e che il ritmo di presentazione delle domande risulta nelle ultime settimane costante. Non ci sono però quelle code che erano state ventilate nell’immediata vigilia del 6 marzo ed è difficile che entro la fine di mese si raggiunga il numero di 1,3 milioni di famiglie aventi diritto, secondo i dati che erano stati forniti dal numero uno dell’Inps Pasquale Tridico. E stiamo parlando delle domande inoltrate e non di quelle che poi verranno vistate e ammesse all’erogazione del sussidio sin da aprile. In sostanza gli italiani si stanno rapportando al nuovo provvedimento in maniera molto composta e i numeri che alla fine saranno raggiunti potranno essere utili per i necessari confronti di carattere statistico e persino sociologico. Avremo un dato di «povertà dichiarata» da valutare assieme a quelli di fonte Istat sulla «povertà assoluta» e la «povertà relativa». Quanto alla composizione territoriale e anagrafica delle domande già inoltrate, bisogna utilizzare le pinze. I dati sono ancora molto parziali e si rischia di fare la figura degli opinionisti che in tv commentano gli exit poll. Secondo una raccolta di dati pubblicata sul Sole 24 Ore di ieri, e basata sulle sole domande pervenute ai Caf fino al 15 marzo, più della metà (55,2%) vengono dal Sud, il 23% dal Nord e il 21,4% dal Centro mentre solo il 6,7% da giovani sotto i 30 anni. Mentre il primo dato forse potrà suonare scontato e in qualche maniera legato alla geografia elettorale dei 5 Stelle, il secondo apre una finestra di riflessione e in qualche maniera conferma come il Reddito contenesse in sé ab ovo una contraddizione difficile da sciogliere, quella di rivolgersi a due platee diverse (poveri e disoccupati). I giovani sotto i 30 anni sono, infatti, nella stragrande maggioranza — più dell’80% — inseriti nel nucleo familiare dei genitori e quindi non hanno presentato una domanda autonoma. E la norma inserita nel decreto, che consente agli over 26 di fare nucleo a sé quando non convivono con i genitori ma ne sono fiscalmente a carico, non sembra aver dato nessun effetto. Il risultato che emerge, quindi, da questi primi rilievi è che il reddito di cittadinanza finisce per assecondare l’idea che la disoccupazione giovanile vada affrontata in primo luogo erogando un sussidio alla famiglia. Per il resto si vedrà.