L’attenzione mediatica è tutta sullo scambio di lettere tra Europa e Italia. Ma ci stiamo dimenticando che sia la Commissione europea, sia il Fondo monetario internazionale hanno certificato che la fase espansiva del ciclo dell’economia europea è alle spalle e ci aspettano anni più difficili. Si possono elencare, senza un vero ordine di priorità i diversi fattori: le tensioni protezionistiche che partono dall’altro lato dell’Atlantico, la progressiva fine del denaro a basso costo in seguito alla normalizzazione della politica monetaria della Banca centrale europea, il confronto tra Italia e Europa in materia di politica di bilancio, la fase di incertezza politica che probabilmente seguirà le elezioni Europee. Senza dimenticare il grosso punto interrogativo che aleggia sopra gli Stati Uniti o le sempreverdi tensioni con Iran, Turchia, Medio Oriente.
E qui arriviamo appunto all’Italia in quanto la Germania è il nostro primo partner commerciale a cui vendiamo quasi 60 miliardi di euro di beni. Gran parte del nostro export sono beni intermedi e di investimento, che entrano nelle produzioni tedesche, specie quelle destinate ai mercati extra Germania. C’è poi in Italia molto import tedesco, evidenziando come le due economie – prima e seconda manifattura d’Europa – siano fortemente interconnesse all’interno di catene del valore e molti beni entrano e escono dai due Paesi più volte prima di arrivare al destinatario finale: quindi il rallentamento delle due economie potrebbe avere un impatto più che proporzionale sul loro interscambio commerciale e incidere pesantemente sulla produzione industriale.
Se l’economia tedesca non tira, questo avrà una ripercussione diretta sulle decisioni di investimento delle imprese italiane, soprattutto quelle delle aree più produttive del Paese, più vicine ai confini con la Germania, e che hanno intrapreso i percorsi di digitalizzazione delle fabbriche per rispondere meglio alle esigenze delle catene integrate del valore. Nello stesso tempo, alla Germania preoccupa che l’Italia possa avere una forte battuta d’arresto a seguito di una mancanza di fiducia delle imprese sulla linea di politica economica del governo, perché verrebbe a mancare un partner fondamentale per sostenere la forza delle esportazioni tedesche e dunque della stessa economia. In questa Europa sempre più divisa si fatica a capire quanto invece le economie siano sempre più interconnesse e le difficoltà di uno si ripercuotano immediatamente sugli altri. Sarebbe un bene se la sfida elettorale per il Parlamento Europeo mettesse al centro gli strumenti necessari per fare in modo che le economie europee diventino sempre più integrate, e dunque più forti e meglio attrezzate per competere negli scenari globali. Stati Uniti e Cina non staranno certo ad aspettare noi europei.
*Capo economista Confindustria