Ci sono finalmente i primi dati sull’utilizzo del provvedimento di quota 100 e si possono fare quindi riflessioni più ponderate basate per l’appunto sul numero delle richieste, sulle fasce d’età, la distribuzione pubblico/privato e le differenze territoriali. Secondo i risultati elaborati dall’Inps le domande pervenute al 26 marzo sono state circa 103 mila (67 mila circa dal settore privato e 36 mila dal pubblico), di queste sono state respinte al mittente 7.600 e invece già accettate 34.300. Due terzi sono uomini e un terzo donne. Nella classifica per regioni è la Lombardia in testa con 12.400 domande seguita dal Lazio con 11.100 e dalla Sicilia con 10.300. Se scendiamo più nel dettaglio possiamo vedere come l’area metropolitana di Roma (7.900) abbia presentato da sola molte più domande dell’intera Emilia Romagna (7.000) e del Piemonte (6.500). Ma questo dato non deve indurre a facili conclusioni: quota 100 per ora non appare solo «romana» e pubblica, anzi le richieste sono arrivate in maniera significativa dal Nord, dal settore privato e, in particolare, dal sistema manifatturiero. I dati assoluti sulle domande per quota 100 ovviamente vanno rapportati al monte-occupati che presenta — come sappiamo — grandi differenze territoriali ma, detto questo, la sensazione che le imprese possano usare il provvedimento quantomeno per accompagnare all’uscita una tranche significativa di manodopera risulta confermata. Ma andiamo per gradi.
Il Nord ha presentato 28 mila domande provenienti dal settore privato e 11.500 da quello pubblico ma anche il settore privato del Sud e delle Isole arriva sorprendentemente a livelli piuttosto alti (21.600). Se invece che per territori suddividiamo i «quotisti» privati per settore viene fuori che poco meno di un terzo (si stimano almeno 13 mila unità) vengono dall’industria in senso stretto che precede nettamente sia trasporti-comunicazioni che i servizi. Ovviamente non è affatto automatico che a fronte di queste uscite — come di quelle del turn over ordinario — ci siano altrettante o minori entrate ma, sottolineano all’Inps, si è creato uno spazio potenziale di staffetta generazionale. Di sostituzione di personale in là con gli anni e probabilmente fuori registro rispetto ai mutamenti tecnologici. Andrà così? Oppure proprio i mutamenti dell’organizzazione produttiva e la recessione strisciante azzereranno questo potenziale?
È interessante anche sottolineare la «decorrenza presunta», cioè la data di possibile uscita: aprile ‘19 per la grande maggioranza dei quota 100 della gestione privata e agosto/settembre ‘19 per la gestione pubblica in concomitanza con la riapertura delle scuole. A proposito di scuola si può stimare come la prima platea di beneficiari del pensionamento anticipato sia di 25 mila unità ai quali vanno sommate altri 20 mila di turn over ordinario. In totale 45 mila potenziali posti nella scuola. Per avere qualche altro numero sulle richieste di pensionamento anticipato si può dire che l’hanno inoltrata 9.500 artigiani, circa 9 mila commercianti, 3.800 dipendenti postali. I ministeriali dovrebbero essere 3.100 mentre i dipendenti degli enti locali che vogliono usufruire di quota sono ben 15.500.
Il giudizio che si sta formando dentro l’Inps è che il provvedimento stia riguardando in maniera equilibrata tutte le platee, dopo un iniziale exploit a colpi di 3 mila domande al giorno a marzo si è viaggiato tra 1.000-1.500. Complessivamente le richieste pervenute sono contenute rispetto all’ondata prevista e nel valutare in assoluto le domande «pubbliche» bisogna tenere presente che quota 100 non riguarda i dipendenti militari delle Forze Armate. Il dato che però l’Inps valuta con maggiore interesse riguarda l’età: non c’è stata la «fuga dal lavoro» che si poteva paventare ma un anticipo regolato e mirato da parte delle varie classi di età, e a dimostrarlo c’è il dato che vede che i 62enni (i più lontani dal ritiro) rappresentare meno del 10% dei richiedenti totali. Nella prima rassegna di dati manca quello riferito alle richieste degli inoccupati ovvero quei lavoratori anziani già usciti dal circuito e spiazzati dalla legge Fornero. E’ un numero che ha un peso per determinare, specie nel manifatturiero, le proporzioni dello spazio potenziale di sostituzione della forza lavoro.