Come nascono le storie che finiscono per diventare dei bestseller? I sogni a occhi aperti, le allucinazioni, sono per Stephen King un vero marchio di fabbrica; ma ciò che alcuni chiamano delirio, per lo scrittore di It non è altro che forza d’immaginazione. La sua nuova raccolta di racconti appena pubblicata negli Usa, If it Bleeds (in Italia uscirà il 12 maggio per Sperling & Kupfer, con il titolo Se scorre il sangue, nella traduzione di Luca Briasco), la dice lunga sul metodo di lavoro dello scrittore del Maine. «Io stesso – scrive King nella postfazione – non so da dove vengano le idee per le mie storie, il che mi riempie d’imbarazzo e mi fa provare un po’ di vergogna». A volte, può essere stato «un film horror, uno di quelli che il mio amico Chris Chesley e io guardavamo di straforo arrampicandoci al Ritz di Lewiston»; oppure un episodio di Alfred Hitchcock presenta».
Il primo racconto, Il telefono di mr Harrigan, forse è nato dall’«iperattiva immaginazione», di quando l’autore era bambino, e ha pensato: «Che accadrebbe se telefonassi a un caro amico morto prematuramente»? L’idea ricorda Quel che affidiamo al vento, della nostra Laura Imai Messina (che ha al centro della narrazione una cabina telefonica installata in Giappone per parlare con i defunti); ma è anche un racconto di formazione, che accompagna la crescita di un giovane uomo, Craig, attraverso la frequentazione (e poi la mancanza) di un mentore molto particolare. King va molto più in là, offrendoci una riflessione sul senso del lutto, del possesso, dell’orgoglio e della stessa letteratura: «Ogni volta che un vecchio muore, una biblioteca va in fiamme», dice il narratore citando un proverbio africano.
La vita di Chuck raccoglie ben tre storie in una, scritte in momenti diversi, ma con lo stesso protagonista. Nella prima parte (che idealmente sarebbe l’ultima), Stephen King riesce a raccontare, con la metafora di una apocalisse imminente, il senso della nostra fine, e di ogni singola morte. «I contain multitudes», io contengo moltitudini, scrive Walt Whitman in una famosa poesia, citata nel testo. Il misterioso apparire in ogni dove di avvisi e di pubblicità, relative a un certo Charles Chuck Krantz, ringraziato per i suoi «39 grandi anni», riempiono di stupore i residenti di una cittadina, alle prese con ogni genere di cataclisma. Ogni uomo ha dentro un universo. Tornano, come capita spesso nei libri di King, riferimenti ad altre storie dello stesso autore: è il caso della località immaginaria di Castle Rock, in cui ha ambientato diversi romanzi (e il cui nome deriva da una montagna de Il signore delle mosche di William Golding).
Tornano, anche, alcuni personaggi: la detective Holly Gibney è la protagonista del romanzo breve che dà il titolo alla raccolta, If it Bleeds. «Holly doveva essere soltanto un personaggio minore di Mr Mercedes – ha spiegato King – restare un particolare di colore; invece mi ha rubato il cuore, e, quasi, anche il libro». Questo racconto (in cui compare di sfuggita anche un altro personaggio di The Outsider, il detective Ralph Anderson), nasce da una semplice constatazione: «Ho cominciato a notare come certi inviati televisivi sembrino sempre apparire all’improvviso sulle scene di orribili tragedie, disastri aerei, massacri, attacchi terroristici, celebrità morte». E «tutti, nell’ambiente, conoscono l’assioma: If it bleeds, it leads», ovvero: se c’è sangue, vende. Il risultato è un altro piccolo gioiello.
Il quarto e ultimo racconto, Rat (il ratto) – forse il meno ispirato del quartetto – fonde Shining, le favole dei fratelli Grimm e anche (con un po’ di ironia) Faust; come Jack Nicholson/Torrance, il protagonista, Drew Larson, è uno scrittore in crisi creativa, che cerca l’ispirazione per scrivere il romanzo della sua vita, in una casetta in una zona desolata, ai confini con il Canada.
Stephen King, a 72 anni, è all’apice del suo successo e può contare su una prolificità, per altri, inimmaginabile, con una produzione media di un romanzo lungo e un racconto (o raccolta) all’anno.
Per questa ultima fatica, si è fatto filmare in casa dalla sua casa editrice Simon & Schuster, la maglietta con su scritto loser, con una “V” sovrapposta sulla “S” a significare lover (ricordate il famoso club dei perdenti di It?). King si è tolto con garbo la mascherina (con degli squaletti disegnati sul tessuto), e ha cominciato a leggere un brano sotto alla riproduzione di un’opera di Edward Hopper, Room in New York (1932), che rimanda – ha sottolineato lui stesso – al senso di «distanziamento sociale» di questi mesi.
Ma tutti, ormai, lo cercano. Lo avvicinano. Le trasposizioni delle sue opere scalano gli ascolti tv (The Outsider) e il box office cinematografico (It 2 e il seguito di Shining, Doctor Sleep). Anche l’ultimo romanzo, The Institute, è stato opzionato da Spyglass per diventare una mini serie, con Jack Bender di Lost come regista e produttore. Anche questo ultimo libro, uno dei migliori degli ultimi anni, sarà di certo saccheggiato.
*Il Messaggero, 23 aprile 2020