Mancano pochi giorni al verdetto dell’Istat che giovedì 31 ci dirà se l’Italia è in recessione tecnica o meno. Superata quella scadenza l’interrogativo si sposterà immediatamente in avanti per cercare di prevedere l’andamento del 2019. Bankitalia e Fmi hanno già emesso i loro verdetti (coincidenti): il Pil dell’anno in corso salirà dello 0,6%. Se andasse così archivieremmo un ‘19 con pochissima crescita ma non in preda alla recessione. Le stime delle due istituzioni non trovano però d’accordo tutti gli analisti indipendenti che devono ancora emettere i loro giudizi ma probabilmente finiranno per ritoccare all’ingiù lo 0,6%. Quanto all’ingiù vedremo, potrebbero anche dimezzarlo. Per uscire dal campo delle previsioni ed entrare in quelle delle scelte concrete vale però la pena chiedersi che cosa si possa fare per condizionare l’andamento del Pil 2019.
Il piano B degli industrialiIn un’intervista rilasciata al «Foglio» il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha abbozzato le linee di una sorta di piano B per la crescita individuando sei capitoli sui quali intervenire (sblocco delle piccole opere, infrastrutture, taglio del cuneo fiscale, incentivi fiscali per i premi di produttività, non allungare i tempi della prescrizione e smetterla di creare sfiducia negli investitori esteri). Un piano B che sconta l’obbligo di ragionare a risorse date perché sembra improbabile che si possa riaprire con la Ue qualsiasi tavolo orientato ad ottenere nuova flessibilità di spesa, anche se motivata dalle nuove tendenze del ciclo economico internazionale. Per cui, solo per fare un esempio, se davvero si decidesse di percorrere (a breve) la strada del taglio del cuneo fiscale bisognerebbe pescare dalle risorse dei cosiddetti 80 euro che equivalgono a 9-10 miliardi di euro. Spiega Andrea Montanino direttore del Centro Studi Confindustria: «Penso che in tempi rapidi si possa intervenire sui cantieri per rilanciare le costruzioni, le risorse sono state già stanziate ma finora è mancata la volontà politica di procedere. Sulle questioni strutturali è evidente invece che serve una strategia di medio termine che abbia il taglio del costo del lavoro tra le priorità». Montanino ci tiene anche a sottolineare il tema del credito. «Finora non si è palesato come problema ma si può essere facili profeti pensando che in un arco di tempo non lungo lo diventerà. Lo spread è comunque più alto che in primavera, la politica monetaria andrà verso la normalizzazione e il rallentamento dell’economia farà il resto». E che tipo di previsione farà il Csc? «Usciremo con i nostri dati a fine marzo e comunque consideriamo credibile la stima di Bankitalia».
Boccia non ha parlato di export. È evidente come stia pagando l’andamento del ciclo internazionale e le tendenze neo-protezionistiche ma è pur vero una revisione/aggiornamento dei nostri obiettivi di penetrazione commerciale non guasterebbe. Qua e là tra le organizzazioni di categoria si chiede un cambio di marcia. È significativo che nei giorni scorsi il neo-presidente di Federalimentare Ivano Vacondio abbia chiesto al governo — e alla stessa Confindustria — di perseguire la strada degli accordi bilaterali con i Paesi più interessanti come forma di accompagnamento del dinamismo imprenditoriale, che è stato capace di aprire molti varchi ai nostri prodotti ma ha dei limiti oggettivi.
Industria digitaleAltro tema che merita spazio è la prosecuzione del piano Industria 4.0. Il governo non sembra credere granché in questa strategia e ha scelto come linea di condotta non tanto individuare i passi in avanti quanto — almeno nelle dichiarazioni — spalmare gli incentivi in maniera più favorevole alle Pmi. Salvo poi tagliare il superammortamento che era lo strumento più semplice per accedere agli incentivi, e dunque una misura che come ha messo in evidenza Massimo Carboniero, presidente Ucimu, «aiutava proprio le Pmi a sostituire i macchinari». Di buono c’è che, al di là delle scelte governative, la spinta agli investimenti non è del tutto caduta, anzi. Secondo i dati diffusi giovedì scorso proprio da Ucimu nel quarto trimestre ‘18 gli ordini di macchine utensili hanno fatto segnare -0,2% rispetto allo stesso periodo del ‘17, con l’export che ha compensato il rallentamento sul mercato interno (-6,3%). Ma attenzione, si tratta di un rallentamento che va messo in relazione con lo straordinario risultato del quarto trimestre ‘17 che aveva fatto segnare un incredibile +86%. Ergo: è vero che si sono vendute meno macchine rispetto al picco di un anno fa ma gli ordini di beni strumentali e robot continuano a buon ritmo.
Più che un Piano B per Andrea Goldstein, economista e curatore del libro “Agenda Italia 2023”, sono due le chiavi che possono essere usate per rilanciare la crescita in questa particolare situazione (con i vincoli di cui abbiamo parlato): concorrenza e competenze. Spiega: «Il sistema Italia ha un deficit di concorrenza in molti mercati e ciò genere effetti negativi sia sulla competitività sia sulla coesione sociale». Sarà un capitolo minore, ma Goldstein lo definisce «emblematico» ed è quello delle licenze balneari. È l’ennesimo rinvio di una direttiva europea «per difendere l’interesse di pochi».
E un analogo esempio viene da Alitalia o ancora dalle norme sulle libere professioni. «Il mio accento sulla concorrenza serve a dire che in un momento di ciclo negativo si può spostare l’attenzione sulle riforme di sistema e creare così l’ambiente migliore per lo sviluppo. Anche perché le svolte non arrivano da un momento all’altro, si programmano». Quanto alle competenze la fuga di giovani istruiti dall’Italia «è un problema che va preso per le corna e invece mi pare che manchi la consapevolezza». Ma chi dovrebbe prendere l’iniziativa di rimettere in circolo queste idee per la crescita? Le forze sociali? «Certamente ma vedo anche con favore le novità che stanno maturando. Le mobilitazioni di Torino e di Genova sono figlie di una passione civica che poi si è allargata e ha coinvolto i corpi intermedi, mi pare un metodo differente e benvenuto».