A parole i consiglieri del ministro Di Maio dicono di ispirarsi ad Adriano Olivetti ma le scelte concrete del dicastero dello Sviluppo economico sembrano andare in direzione opposta. Prendiamo il piano Industria 4.0, dopo l’exploit degli investimenti — decisi anche grazie agli incentivi — ci sarebbe stato bisogno di continuità, di fare il punto sugli strumenti amministrativi e soprattutto sugli obiettivi di sistema da raggiungere e invece Luigi Di Maio ha preferito battere un’altra strada. Ha fortemente impoverito la batteria degli incentivi (iper e superammortamento) con l’alibi politico di voler aiutare le Pmi e soprattutto si è completamente dimenticato della formazione. Eppure per un olivettiano il capitale umano dovrebbe rappresentare una priorità visto che, come ha avuto modo di sintetizzare con efficacia un dirigente confindustriale, «abbiamo comprato le macchine ma ora ci mancano i macchinisti».
Ma al di là delle schermaglie sui provvedimenti del governo in materia di politica industriale ho maturato l’idea che Di Maio e i suoi consiglieri non abbiano compreso a pieno la portata del 4.0. E per di più si basino su un’idea approssimativa del mutamento del sistema produttivo che si è concretizzato durante e dopo la Grande Crisi. Al centro di questa trasformazione ci sono le filiere produttive che hanno dato flessibilità, riorganizzato i flussi delle merci, distinto le stazioni di lavoro (responsabilizzandole a pieno) e sono proprio le filiere ad aver bisogno in questo momento di credere ulteriormente negli investimenti 4.o per poter inserire le Pmi fornitrici nelle loro piattaforme. È questo lo step che abbiamo davanti piuttosto che una distribuzione egualitaria degli incentivi tra grandi e piccoli, una spalmatura che di fatto si tradurrebbe solo in un incentivo governativo alla sostituzione dei macchinari obsoleti. Abbiamo nelle fabbriche capo-filiera tutte le professionalità indispensabili per realizzare il passaggio di cui sopra? Purtroppo no e da qui la necessità di mettere in campo il massimo sforzo sulla formazione. Un’ultima considerazione ce la suggerisce poi un recentissimo lavoro dell’Istat secondo cui nel periodo 1995-20171a produttività del lavoro è aumentata a un tasso medio dello 0,4% mentre quella del capitale è diminuita dello 0,79. Fa eccezione però proprio l’ultimo anno (il 2017) con la produttività del capitale salita dell’1,296. È solo un caso, signor ministro, che questa inversione di tendenza sia avvenuta proprio in parallelo al dispiegarsi di Industria 4.0?