Filippo Santelli su Repubblica racconta di una telefonata tra Washington e Pechino relativa a “una (mezza) intesa a cui ancorare i rapporti reciproci: la tregua commerciale siglata lo scorso gennaio“. Le due superpotenze hanno ribadito l’impegno a rispettare gli impegni, nonostante l’emergenza da coronavirus. “Da parte cinese, tra le altre cose, acquistare 200 miliardi di dollari aggiuntivi di prodotti americani. Da parte americana sospendere l’escalation tariffaria scatenata lo scorso anno” riporta Santelli, che spiega come Trump abbia “piazzato a Pechino miliardi di beni energetici e agricoli, molti dei quali prodotti dalla sua base elettorale che li produce” e Xi Jinping abbia “disinnescato un assalto che stava deprimendo l’economia cinese, già di suo claudicante”. Esiste quindi un “mutuo interesse” che li lega.
Ma onorare l’accordo in questo particolare momento sarà ancora più difficile. “Il primo problema è di stretta economia: la promessa cinese di comprare dall’America 200 miliardi di prodotti extra in due anni appariva già impegnativa prima, figurarsi ora con il commercio globale bloccato e la domanda interna che non tira – spiega la firma di Repubblica – Per recuperare il governo cinese può mettere in piedi dello shopping di Stato: nei giorni scorsi ha piazzato un grande ordine di soia americana. Ma bisogna anche considerare che il prezzo dei prodotti energetici è ai minimi, quindi anche importando tonnellate di gas e petrolio Usa il conto non salirebbe così tanto”.
Santelli poi spiega che Pechino desidera tenere in piedi l’intesa, ma senza “svenarsi per comprare beni di cui non ha bisogno”. In questi giorni il governo cinese ha annunciato aperture sia in tema di copyright che sul mercato dei servizi finanziari. Ma, spiega Santelli, “quelle concessioni non sono altrettanto spendibili in campagna elettorale per Trump”, ed è tutta qui la seconda incognita su cui ruota la tenuta dell’intesa. “Da qui alle elezioni le mosse del presidente americano saranno comandate dai sondaggi e nulla vieta che, con le spalle al muro, i suoi spin doctor possano suggerirgli di dichiarare Pechino inadempiente, stracciare l’accordo e riaccendere la battaglia di tariffe”. Non a caso, ieri il presidente ha detto di «non avere ancora deciso».