Ufficialmente la pensano tutti allo stesso modo, compreso il premier Giuseppe Conte: «Abbiamo tante cose da fare». E dunque la richiesta di referendum confermativo sulla legge costituzionale che taglia il numero di parlamentari «non influenza e non può influenzare l’agenda di governo». E però, nei fatti, la conferenza stampa con la quale ieri il comitato promotore del referendum ha annunciato di aver raggiunto la quota minima di firme necessarie per richiedere che la riforma sia sottoposta a referendum confermativo — necessario un quinto dei rappresentanti di una Camera, sono 64 — potrebbe in realtà avere un impatto sulla durata della legislatura. Con il raggiungimento delle firme infatti si «congela» la riforma. In attesa che si svolga il referendum (tra il 15 aprile e il 15 giugno, per i quesiti confermativi non è previsto il quorum), se si dovesse andare alle urne si voterebbe con le vecchie regole e il taglio di un terzo dei parlamentari non entrerebbe in vigore. Una tentazione, che potrebbe anticipare la fine della legislatura. Che suscita sospetti incrociati: chi mira a tanto? Può il governo reggere ad una accelerazione del genere? E nel caso di crisi, il capo dello Stato scioglierebbe le Camere o aspetterebbe lo svolgimento del referendum, dunque rimanderebbe l’eventuale voto anticipato a dopo l’estate?
I dubbi sono tali e tanti che, in una giornata convulsa, a sera si è fatta molto forte la voce secondo la quale alcuni dei firmatari della richiesta di referendum – soprattutto Pd e pentastellati – sarebbero in queste ore oggetto di pressione da pontieri della maggioranza perché ritirino le firme (c’è tempo fino all’11 gennaio). E anche in FI, il gruppo che in modo più massiccio ha contribuito alla raccolta di firme, alcuni fra i «malpancisti» avrebbero ripensamenti: tra loro quelli pronti a immaginare un nuovo soggetto politico, magari guidato dalla Carfagna, e dunque niente affatto sicuri di ottenere una ricandidatura nel proprio partito sono tanti, come lo stesso Cangini che pure ieri rivendicava in conferenza stampa il «successo» della raccolta firme.
Luigi Di Maio già fa la voce grossa: «Voglio vedere chi si schiererà contro». Ma la raccolta di firme contro il taglio, potrebbe accelerare le urne per chi puntasse a un voto con più posti in lista o almeno concederebbe qualche mese di riflessione per chi volesse andare a votare con le vecchie regole, nonostante i promotori e gli aderenti della prima ora come appunto Cangini o Nannicini escludano «un nesso tra referendum e durata della legislatura». Chiaro che a leggere i nomi dei firmatari il dubbio sorge spontaneo: il gruppo più nutrito di senatori che hanno aderito è di Forza Italia (41), 7 sono i Pd, 9 del gruppo misto, tra loro Emma Bonino, due di Italia viva, due leghisti appena arrivati dal M5S, tre 5 Stelle critici (Giarrusso, Di Marzio, Maricotti) e un senatore a vita, Rubbia. Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera di FI, nega qualsivoglia regia: «Ma no, sono posizioni personali: abbiamo votato convintamente sì». Stessa posizione dei leghisti, nonostante tra i firmatari più d’uno sussurra che la spinta a firmare sia arrivata proprio dalla Lega, la più interessata ad andare al voto in fretta. Non commenta nel merito Salvini: «Abbiamo votato la riforma, ma sono d’accordo sui referendum in generale».