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Ma chi gliel’ha fatto fare? Aveva la sua banca, Equita, che adesso si quota pure. Ma perché proprio Leonardo ex Finmeccanica a occuparsi di difesa e alta tecnologia, due campi non proprio dei meno competitivi?
«Ho sempre pensato che il mio lavoro, che è quello di far andare bene le aziende, avesse un legame con il Paese e con il suo sviluppo — spiega Alessandro Profumo —. E se ti chiama la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Economia per un reingaggio, mi verrebbe da dire istituzionale, per me è quasi un obbligo rispondere. Senza contare che Leonardo è una grande azienda manifatturiera. Una eccellenza di cui il Paese deve essere fiero. Una volta dismesso l’abito da banchiere ho voluto riavvicinarmi all’industria, e all’economia reale. Se si fosse trattato ancora di finanza non avrei accettato».
Profumo, classe 1957, con un curriculum che più da banchiere non si può iniziato in un piccolo istituto, il Banco Lariano, è amministratore delegato di quello che è l’ottavo gruppo al mondo nel suo campo. Dodici miliardi di fatturato fatti vendendo sistemi elettronici per la difesa e sicurezza e velivoli per il trasporto civile e militare, dagli aerei agli elicotteri, ai cannoni, dai droni all’alta tecnologia laser. In mezzo alla sua storia la crescita e poi il definitivo consolidamento di Unicredit. Una presidenza al Monte dei Paschi per rimettere in moto la banca. Oggi l’aerospazio, la difesa e la sicurezza.
Che ci fa un banchiere in mezzo ai militari?
«Ex banchiere. Non dimentichi che ero anomalo anche nel settore del credito italiano. Ho contribuito a creare una delle poche banche concretamente europee dopo l’acquisizione della tedesca Hvb. Ho guidato l’associazione dei banchieri europei con l’obiettivo di costruire un mondo di relazioni con le istituzioni e i regolatori proiettato sull’estero».
Ma in un campo completamente diverso.
«Tenga conto che il 60% del nostro fatturato è fatto vendendo beni e servizi ed è indirizzato a governi. Leonardo ha 7 divisioni, avere un amministratore delegato tecnologo poteva anche significare privilegiare un settore rispetto a un altro. Mentre nella difesa è un unico sistema che si muove e che si propone ai clienti. Sistema che si estende dal ministero della Difesa a quello degli Affari esteri. Guardi l’accordo Pesco appena siglato da 23 Paesi europei e che inizia a delineare l’embrione di una difesa continentale».
Appunto, in quel caso sono i governi a muoversi.
«Certo. Conta la capacità di impegno dei nostri militari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica e contano le missioni all’estero come in Libano e Afghanistan. Ma conta e parecchio anche il fatto che l’Italia dispone di Leonardo che nel mondo e in Europa è seduta ai tavoli giusti».
Francia e Inghilterra pesano di più…
«È una questione di spesa dei singoli Paesi. Ma mi faccia dire che solo negli ultimi mesi sono stato 2 volte nel Golfo Persico, 3 volte in Polonia e Gran Bretagna, 2 in America, in Russia, in Nord Africa e innumerevoli altre volte in altri paesi europei. Consolidare e rafforzare il ruolo dell’Italia in questo campo o per noi la leadership in alcuni settori come gli elicotteri e l’elettronica, significa questo».
A dire il vero sulla vicenda Fincantieri l’Italia è apparsa, scusi il gioco di parole, molto in difesa…
«Al momento un accordo è stato raggiunto sul settore civile. Adesso si dovrà prestare attenzione che il prezzo da pagare non sia eccessivo».
Sia più esplicito, cosa intende?
«Non vorrei si andasse a un’intesa anche sui settori militari, le navi per esempio, senza tenere conto del fatto che Leonardo dispone di competenze nei sistemi, di combattimento, nei sensori e nei radar, competitivi a livello mondiale, magari avvantaggiando i sistemi francesi. Speriamo e contiamo di poter dire la nostra come azienda, ma anche a tutela del sistema Paese».
C’è un rischio che si favoriscano vostri competitors come i francesi di Thales?
«La tentazione potrebbe esserci. Ma sia chiaro che le nostre competenze vogliamo salvaguardarle. È un tema di strategicità anche per il Paese. Guardando al lungo periodo, l’embrione di difesa europea non potrà che essere multipolare e quindi comprendere a pieno titolo la capacità italiana, quella francese e quella britannica».
Beh, con la Brexit gli inglesi sono fuori…
«Meno di quello che si pensa. Anzi. Si farebbe un errore se non si utilizzasse la difesa come un modo per tenere legati i britannici nonostante la Brexit. E in questo Leonardo è uno degli elementi che può fare da catalizzatore nei processi».
Sembra molto determinato. Eppure in tanti dissero a suo tempo che la sua nomina era propedeutica possibili cessioni di pezzi dell’azienda, spezzatini.
«Non solo non è il mio mandato, ma non avrei accettato e li avrei sconsigliati di andare su quella strada perché si sarebbe trattato di un errore per il Paese. Disponiamo di pochissime grandi aziende. Di gruppi che siano in grado di creare filiere del valore. Di fare ricerca. Noi spendiamo 1,4 miliardi in ricerca ogni anno. Il fatturato di quelle che vengono considerate in Italia grandi aziende. Abbiamo 10 mila ingegneri. L’obiettivo è chiaro: crescere ancora e farlo in maniera redditizia nei tre settori cardine».
Ma non erano 7 le divisioni?
«Racchiuse sotto tre ombrelli: l’aeronautica, dall’Eurofighter ai 345 e 346 di addestramento più i C-27J da trasporto e le aerostrutture in materiale composito per i B787. L’elettronica per la difesa, con soluzioni adatte agli scenari terrestri, navali e aerei. Gli elicotteri, civili e militari».
Proprio gli elicotteri hanno però determinato il crollo in Borsa del 10 novembre con una revisione degli obiettivi.
«Sì. Ma perché sono stato trasparente come sempre con il mercato. Abbiamo cambiato il capo della divisione perché c’era una necessità e puntiamo a risultati migliori. Dovevamo spiegarlo. Poi, l’esperienza della finanza mi dice che a volte il mercato reagisce in maniera eccessiva. Anche perché stiamo parlando di macchine, come un aereo o gli elicotteri che sono da decine di milioni. Il rapporto con i clienti si costruisce nel tempo. Oltre alle missioni all’estero di cui le dicevo, abbiamo nominato Lorenzo Mariani come capo del commerciale del gruppo. Figura che non c’era e che penso fondamentale per incrementare il portafoglio ordini».
Serve anche un sistema Paese che stia dietro, la spesa procapite italiana era di 273 euro nel 2016, di 459 in Germania, 626 in Francia, 789 in Regno Unito.
«Certo noi siamo sotto il 2% del Pil richiesto dalla Nato. Ma nel 2017, intanto, la spesa tornerà a crescere. E comunque, come dicevo, Leonardo realizza in Italia solo il 18% del fatturato. Siamo un Paese piccolo e per questo di natura orientati all’export».
C’è anche forse una difficoltà con l’opinione pubblica che quando si parla di armi, di difesa, di sistemi da combattimento tende a respingere maggiori investimenti.
«Che i nostri prodotti abbiano caratteristiche controverse è innegabile. Ma è altrettanto vero che in un mondo che si fa più complesso i sistemi di difesa sono decisivi. Difendersi dal terrorismo significa avere sistemi che ti permettano di intercettare eventuali attacchi. Come disporre di aerei C-27J permette di arrivare in zone difficili per salvare persone pesantemente minacciate. Ed è altrettanto innegabile che certi primati tecnologici americani dipendano in linea diretta dagli investimenti in ricerca del Pentagono».
*Corriere della Sera, 16 novembre 2017