La produttività del lavoro si conferma il “tallone d’achille” per l’Italia: nel 2018 rimane ancora in terreno negativo (-0,1% sul 2017), seppur in linea con l’andamento dell’area euro (è la prima volta che accade dal 2013). Tuttavia, il divario accumulato in questi anni dal nostro paese verso quasi tutte le principali economie avanzate è lontano dal dirsi colmato: tra il 2000 e il 2016, infatti, secondo dati Ocse, la produttività del lavoro è aumentata dello 0,4% in Italia, di oltre il 15% in Francia, Regno Unito e Spagna, del 18,3% in Germania, del 25,6% negli Stati Uniti.
Il rapporto sulla competitività (dei settori produttivi), giunto alla settima edizione, presentato ieri dall’Istat, evidenzia anche come, lo scorso anno, sia tornato ad ampliarsi il divario di crescita tra Italia ed Eurozona (dopo che si era ridotto nel biennio precedente). Roma, nel 2018, è andata incontro a un rallentamento: +0,9% da +1,6% del 2017, contro una crescita media europea dell’1,8 per cento.
A frenare è stato anche il fatturato manifatturiero, cresciuto del 3,2%, ma in decelerazione rispetto al +5% segnato l’anno prima (all’aumento del 3,2% hanno contribuito quasi tutte le attività del comparto, tranne autoveicoli e altri mezzi di trasporto).
Per i prodotti petroliferi, le riparazioni e manutenzioni di macchinari e la metallurgia, l’incremento del fatturato è stato di oltre il 5%, guidato da domanda interna ed esportata. Per bevande, abbigliamento, articoli in pelle, alimentari il fattore trainante è stato la sola domanda estera.
Nel 2018 le esportazioni in valore e in volume hanno rallentato in tutti i principali Paesi europei fornendo un contributo negativo alla domanda estera netta. Unica eccezione: la Francia. Quanto all’export italiano, il rallentamento (in valore) è stato più marcato per gli scambi extra-Ue (+1,7%, da +8,2% del 2017) sui quali hanno influito fattori di domanda e un andamento del cambio sfavorevole. Anche nei servizi di mercato, il 2018, specie nel secondo semestre, ha visto ridimensionarsi i segnali di consolidamento della ripresa ravvisati nel 2017. Il fatturato è cresciuto del 2%, a fronte del +3,2% dell’anno precedente. Il rallentamento ha riguardato in misura differenziata quasi tutti i settori. Nel commercio pesa la decelerazione degli autoveicoli (+1,9% contro il +5,2% dell’anno prima) mentre nel trasporto e magazzinaggio alla crescita del trasporto terrestre e aereo è corrisposta una contrazione di quello marittimo. Decelera, ma rimane in crescita, il fatturato dei servizi di alloggio e ristorazione (+2,1%, da +3,2 del 2017).
Sempre per l’Istat, poi, i settori più avanzati (e produttivi) dell’industria e dei servizi ricoprono un ruolo di centralità sia nelle relazioni con l’estero sia in quelle interne, soprattutto nel caso delle esportazioni verso Germania e Stati Uniti. La manifattura a medio-alta tecnologia è molto connessa con tutti i comparti esteri (incluso il terziario avanzato), quella a medio-bassa tecnologia ha invece una minore capacità di trasmissione con i settori esteri a crescita sostenuta. Tra le relazioni italiane con Germania, Usa e Cina, solo quelle con Berlino «tendono a garantire un’efficiente trasmissione diretta e indiretta di shock tra i due Paesi». L’assenza di connettività dei settori meno centrali negli scambi internazionali «riduce la possibilità per l’Italia di beneficiare di shock positivi proveniente da Stati uniti e soprattutto Cina».
In questo quadro, a prevalere è una incertezza crescente. Lo evidenziano le indagini qualitative: il 32,4% delle imprese, lo scorso anno, ha registrato una situazione di “ripiegamento” e ha subito perdite sia sul mercato internazionale sia su quelli interni. Le imprese “vincenti”, invece, rappresentano il 24,3% del totale (ma nel 2017 toccavano quota 34,3 per cento).