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Longo Davide
La vita paga il sabato

 19,00

Tra i silenzi di un paese incastonato nelle montagne del Piemonte e la chiassosa Roma del cinema e della politica, il mistero di una donna che per molti è stata una musa, un sogno, un rimorso. Un nuovo caso per Vincenzo Arcadipane e Corso Bramard.

«La cosa che mi secca, delle storie di Bramard e Arcadipane, è che non le ho scritte io. Forse non sono mai stato abbastanza felice per farlo. O disperato, non so» – Alessandro Baricco

«Quanto è mentale Bramard, tanto è corporeo Arcadipane che in saccoccia tiene un mucchio di sucai da estrarre compulsivamente e ingoiare insieme ai pelucchi che stanno sul fondo delle tasche. Due cosí non li dimentichi» – Maurizio Crosetti, la Repubblica

«Davide Longo è uno dei grandi» – Carlo Lucarelli, Corriere della Sera

 

Un produttore cinematografico, fratello di un potente ex ministro democristiano, viene trovato morto dentro la sua Jaguar, abbandonata in una sperduta valle alpina. Sua moglie, un’ex attrice che ha fatto innamorare un’intera generazione, è scomparsa. Incaricato delle indagini, il commissario Arcadipane deve lasciare la sua Torino e trasferirsi temporaneamente a Clot, un grumo di case sorvegliate da una diga che serra la valle come un cappio. Ad attenderlo, gente diffidente e spigolosa e un rebus da far scoppiare la testa. Troppo complicato per non chiamare in aiuto il vecchio amico e mentore Corso Bramard e l’indisciplinata quanto indispensabile agente Isa Mancini, entrambi alle prese con un momento difficile della propria vita. Per arrivare alla verità sarà necessario scavare tra antichi segreti e nuovi egoismi, districando una trama tessuta a piú mani. Fino alla scoperta che per tutti, o quasi, la vita paga il sabato.

COME COMINCIA
La testa sul cuscino, il corpo rannicchiato in una sepoltura primitiva, Arcadipane fissa il telefono illuminare per la terza volta negli ultimi cinque minuti la base dell’abat-jour, la fondina dell’arma, quattro sucai, le chiavi e un cerchio scuro marchiato sul comodino da una tazza o un bicchiere molto molto caldi.
Gli basterebbe allungare una mano per spegnere o rispondere, ma sa chi lo chiama a quest’ora e perché, quindi fa l’unica cosa che un uomo della sua età, con il suo lavoro e la sua attuale posizione orizzontale può fare: prendere tempo. Trent’anni di polizia gli hanno insegnato che i secondi di notte sono come monete antiche, il numero scritto sopra non dice niente del loro effettivo valore.
La debole fluorescenza del telefono cessa lasciando intatti il buio e il silenzio. È un quartiere bene quello dove sta dormendo, niente marmitte forate, gente che grida uscendo da brutti locali, tossici, ubriachi o papponi. Solo qualche travestito di vecchia scuola: orari di lavoro dalle ventitre alle due, settimana corta alla tedesca, angoli assegnati per decreto regio e ammezzato di proprietà. Professioniste che fanno la vita da quando gli è spuntata la prima barba, subito estirpata, e sanno tenere a bada maniaci, spiritosi e sorci in cerca di spicci. Un paio di forbici, una chiave inglese e una bomboletta di peperoncino del resto costano meno di un protettore e, quando ne hai bisogno, arrivano prima.
Il telefono ricomincia.

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