Un passo avanti verso l’apertura della procedura. E margini più stretti del previsto per evitarla. I governi dei Paesi Ue hanno esaminato il rapporto sul debito pubblicato la scorsa settimana dalla Commissione e hanno dato il loro via libera. «L’apertura di una procedura è giustificata» scrivono i direttori dei 28 ministeri delle Finanze. Che ora chiedono all’Italia di fare il prossimo passo. Un passo indietro, ovviamente. Per essere in linea con le regole, Roma «deve prendere le misure» necessarie. Siamo sempre lì: serve una manovrina correttiva già nel 2019, oltre a garanzie più concrete sulla Finanziaria d’autunno.
Anche il 29 novembre scorso il Comitato economico-finanziario aveva dato il suo via libera all’iter per la procedura, poi scampata grazie alla nuova versione della Manovra del Popolo. Ma nel testo adottato ieri c’è una piccola differenza. Piccola, ma abbastanza significativa. All’epoca gli sherpa avevano fatto aggiungere una breve frase per sostenere la trattativa in corso tra Roma e Bruxelles: «Ulteriori elementi potrebbero emergere dal dialogo in corso tra la Commissione e le autorità italiane». Questa volta la parola «dialogo» non compare, ma ci si limita a tenere la porta aperta agli eventuali nuovi elementi che potrebbero finire sul tavolo qualora l’Italia accettasse di rivedere i conti del 2019.
«Il motivo è molto semplice – spiega una fonte Ue –. A fine novembre era già iniziato una sorta di negoziato tra le parti. Oggi invece siamo ancora in attesa che il governo definisca una posizione al suo interno e avanzi qualche proposta». Diversamente, entro la fine di giugno, la Commissione scriverà e pubblicherà la raccomandazione all’Italia. Che poi dovrà essere approvata in via definitiva dall’Ecofin: la riunione decisiva sarà quella del 9 luglio. Ieri il ministro Giovanni Tria ha ribadito in Parlamento che il governo «potrà fornire stime più aggiornate a fine luglio». Ma da Bruxelles hanno già fatto capire di non essere disposti ad attendere fino alla fine di luglio. La partita va chiusa nel giro di due-tre settimane al massimo. E allora il titolare del Tesoro ha assicurato che l’esecutivo «è determinato a perseguire il fondamentale obiettivo di saldo strutturale e ad adottare tutte le cautele e le iniziative funzionali al raggiungimento di tale obiettivo». Sempre che gli azionisti di maggioranza siano d’accordo.
In via XX Settembre e a Palazzo Chigi sono convinti che la procedura va evitata a ogni costo, in sintonia con il Quirinale. Sarebbe il primo caso di una procedura per debito, un provvedimento che rischia di legare le mani ai governi italiani «per i prossimi anni» come ha avvertito Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea. La raccomandazione consiste in una serie di rigidi parametri da rispettare per almeno cinque-dieci anni sotto un attento e costante monitoraggio di Bruxelles. In caso contrario scatterebbero le sanzioni: si va da una multa (lo 0,2% del Pil, ossia 3,6 miliardi di euro) fino al blocco dei fondi strutturali.
Juncker ha usato parole piuttosto dure. Ha detto che l’Italia «non è ancora» una minaccia per la stabilità dell’Eurozona, ma «è un problema serio». «Non voglio umiliare la Repubblica italiana con dichiarazioni pubbliche – ha aggiunto -, ma si sta muovendo in una direzione sbagliata». Parole che hanno indispettito Giuseppe Conte: «È lui che ha sbagliato direzione sulla Grecia». Il premier ha però evitato reazioni troppo sopra le righe, pericolose alla vigilia della trattativa: «Prima di dire che stiamo sbagliando, Juncker mi dia la possibilità di aggiornarlo sui conti».
Domani il ministro Giovanni Tria sarà a Lussemburgo per la riunione dell’Eurogruppo. Il caso-Italia potrebbe non finire sul tavolo della riunione. «Al momento non è in agenda» assicura una fonte Ue. Della vicenda se ne parlerà molto probabilmente nei colloqui a margine: i ministri dei principali Paesi dell’Eurozona chiederanno a Tria in che direzione intende muoversi. A condurre la trattativa sarà dunque la Commissione, con i commissari Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis (che ieri è stato confermato dal governo lettone come commissario anche per la prossima legislatura). Poi l’ultima parola spetterà, come sempre, ai governi.