È ancora scontro sulla prescrizione: Alfonso Bonafede attacca Matteo Renzi, Matteo Renzi attacca quella «schifezza» della riforma del Guardasigilli (lasciando addirittura intravedere la nascita di un nuovo soggetto politico). E ancora: il Pd attacca Matteo Renzi accusandolo di «dividere la maggioranza a pochi giorni dal voto delle Regionali» e Matteo Renzi attacca il Pd «assoggettato ai grillini». In mezzo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che tenta invano di mediare. Si comincia in mattinata con il ministro della Giustizia che critica Italia viva che si «è smarcata». La maggioranza «ha deciso di andare avanti», annuncia Bonafede. Il che vuol dire, sottolinea, che Iv «è isolata». Renzi fa spallucce. Non si sente solo: «Sono con la federazione del buon senso, cioè con +Europa e Carlo Calenda». E se la situazione precipitasse la «Federazione del buon senso prenderebbe il 10 per cento alle elezioni», osserva l’ex premier. Ma il leader di Italia viva non punta alle urne: «Solo che per coerenza non posso votare il mostro giuridico di Bonafede. Il Pd invece gli va dietro. Fa male vederlo a rimorchio dei 5 Stelle. La verità è che nel seminario di Contigliano hanno sancito il loro definitivo assoggettamento al Movimento. Ma noi non diventeremo mai grillini».
Già, è il ragionamento dell’ex premier, «noi siamo stati coerenti e abbiamo votato per la proposta di Costa che reintroduceva la legge Orlando, cioè una legge del mio governo, mentre il Partito democratico ha votato a favore della legge di Bonafede e Salvini». Apriti cielo: il Pd parte lancia in resta. «È sbagliato votare con la destra», accusa il vicesegretario Andrea Orlando. Che aggiunge: «Se c’è una trattativa aperta si devono sospendere le iniziative delle singole forze politiche». Per tutto il giorno è un rimpallo di accuse. «Traditori», dicono al Nazareno, puntando l’indice contro Renzi «che dà una mano a Salvini». «Siete in malafede», replica la capogruppo alla Camera di Italia viva Maria Elena Boschi. Nel pomeriggio interviene Conte da Algeri. «Ciascuna forza politica — esorta — sarà invitata a non fermarsi a valutare in modo preconcetto o pregiudiziale». E il premier prosegue così: «Nell’ultimo incontro era stata trovata una formula di sintesi che tiene conto del dibattito e dell’apporto di tutte le forze politiche. Con Bonafede stiamo lavorando a una versione definitiva. La riproporremo alle forze politiche per un’ulteriore valutazione. Mi aspetto che Italia viva la possa valutare nel merito». Ma è un intervento che al momento non sembra destinato a sortire grandi effetti. Il «lodo Conte» — abolizione della prescrizione per i condannati e non per gli assolti — non convince Italia viva e Renzi ribadisce: «Voteremo anche in Aula la proposta Costa».
Sul tema non è in subbuglio solo il mondo politico: da parte degli avvocati c’è grande preoccupazione. «La prescrizione è un cavallo di Troia. Se ci sarà l’approvazione della riforma Bonafede la prossima tappa sarà quella di limitare il diritto d’appello», denuncia il presidente dell’Unione delle camere penali Giandomenico Caiazza. Ma mentre infuriava lo scontro sulla prescrizione ecco aprirsi un’altra crepa nella maggioranza e in seno allo stesso Pd. In un’intervista alla Stampa Giuseppe Provenzano apre un nuovo fronte. Il ministro per il Sud e la coesione territoriale immagina di dare vita a un «nuovo statuto dei lavoratori» e, di conseguenza, propone di rivedere il Jobs act, facendo contento Roberto Speranza che in una conversazione con il Corriere della Sera ne aveva chiesto l’abolizione.
Le prime critiche al ministro non provengono da Italia viva bensì dal suo partito. Duro il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci: «Provenzano è ideologico. Si ricordi di essere un esponente del governo». E la deputata del Partito democratico Alessia Rotta insiste: «La discussione sul Jobs act è stata ampiamente superata dai dati che certificano come con la riforma del mercato del lavoro i posti siano aumentati e i licenziamenti diminuiti». Quindi è il turno di Italia viva, che attacca il «tandem Provenzano-Speranza». Ma questa nuova polemica, benché lo riguardi direttamente, lascia ben sperare Renzi: più il Partito democratico si «sposterà su posizioni da vecchia sinistra» più la sua «Federazione del buon senso» avrà possibilità di crescere.