Qualche anno fa in un libro che ha avuto grande riscontro, “Fuoriclasse”(Mondadori), il giornalista scientifico Malcolm Gladwell si chiedeva quali fossero gli ingredienti dei personaggi di successo. La conclusione portava ad una serie di elementi non del tutto scontati: nascere nel posto giusto; negli anni giusti; avere dei genitori che fanno il mestiere giusto; frequentare un sistema educativo giusto. Con la parola “giusto” non si intende eccelso: non è necessario nascere da una famiglia ricchissima o frequentare Harvard per raggiungere importanti risultati professionali o sportivi. E l’intelligenza conta? Non proprio, o meglio, anche in questo caso il quoziente di intelligenza deve essere adeguato, ma non serve sia troppo alto.
Tra i tanti esempi riportati, Gladwell citava la storia di un americano, Chris Langan: l’uomo giudicato con il miglior quoziente di intelligenza (QI) al mondo (200 punti). Longan, però, ha avuto una vita modesta e non ha inventato nulla di significativo. La conferma di ciò si ha con Albert Einstein il cui quoziente di intelligenza era “solo” pari a 150 punti. Nella sostanza il QI non basta e gli altri elementi per avere successo non sono frutto della determinazione del singolo, né del suo talento ma da alcune precondizioni di sistema, o meglio, di ambiente.
Sarà per questo che in Italia abbiamo avuto pochi premi Nobel? Sembra proprio di sì perché degli 885 individui premiati dal 1901 al 2016, gli italiani premiati nelle scienze sono 11 e solo 7 risultavano residenti nel nostro Paese. E qual è il paese che ha sfornato più Nobel? Facile a dirsi: gli Usa.Ben 3 su 10 sono andati a scienziati residenti negli Stati Uniti. Questa è una delle tante curiosità contenute in “Come vincere un Nobel”. Lo ha scritto un professore di scienza, tecnologia e società, Massimiano Bucchi, che recentemente è diventato un ospite fisso nella trasmissione Superquark di Piero Angela. Sarà anche per questo che il libro, pur essendo un saggio zeppo di dati, scorre via come fosse un giallo che ogni anno ha un lieto fine.
Anche la dinamite fa del bene
Bucchi parte dalla vita di Alfred Nobel e di come, dopo cinque anni dalla sua morte, il premio da lui istituito sia diventato il punto di riferimento assoluto per premiare i migliori scienziati, economisti, letterati e soggetti che più hanno contribuito alla costruzione della pace. Di premi in giro per il mondo ce ne sono molti, ma il Nobel è l’unico premio che è riuscito ad attraversare, in modo indenne, due guerre mondiali e molte crisi economiche. Attorno al mese di ottobre in molte aule universitarie, e negli uffici delle testate giornalistiche, si vivono momenti di tensione per capire chi sarà il vincitore di una delle discipline premiate. Se hai tra i 60 e 64 anni è il momento giusto per avanzare la candidatura all’Accademia Reale delle scienze di Stoccolma.
C’è stato, fino ad ora, solo uno scienziato che è riuscito ad essere premiato prima di compiere trent’anni. Si chiamava Lawrence Bragg, vincitore a soli 25 anni nel 1915. Piccola precisazione però: lo ha vinto insieme al padre. Philip Noel-Baker, invece, è l’unico ad avere vinto una medaglia alle Olimpiadi nel 1920 (argento nei 1500 metri) e anche un premio Nobel (per la Pace nel 1959). Evidentemente il multitasking ai Nobel non risulta essere facile. Infatti Maria Skłodowska, meglio conosciuta come Marie Curie, fu la prima persona a vincere due premi Nobel (per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911). Oltre a lei soltanto un’altra persona, sino ad ora, ha ricevuto due premi Nobel in due campi differenti: Linus Pauling (oltre a quello per la chimica nel 1954 ne ha ottenuto un altro nel ’62 per la pace). Altri due ne hanno ricevuti nello stesso settore: John Bardeenn (entrambi in fisica) e Frederick Sanger (entrambi in chimica). Per fare divulgazione bisogna prendere il lettore e accompagnarlo dentro ai fatti e ai misteri che compongono questi fatti.
Questo Bucchi lo sa fare con una scrittura tanto scorrevole quanto facile. Al centro del libro racconta la storia avvincente del “Nobel dei Nobel”:Albert Einstein. Si, perché Einstein, prima di diventare lo scienziato per eccellenza, ha avuto una vita prima da “travet”, quale impiegato all’ufficio brevetti a Berna, dove coltivava segretamente la sua passione per la fisica. Nel vincere il suo premio Nobel diventa un caso perché è “l’unico in tutta la storia del premio a riportare, stampata sullo stesso diploma consegnato allo scienziato, un’avvertenza per l’uso con cui gli accademici svedesi prendevano le distanze da una teoria ritenuta tutta ancora controversa”.
Da Nobel a Star
Diventare un Nobel vuol dire, soprattutto nel paese dove si vive, essere famosi e riconosciuti. Alcuni, in Italia come Rubbia, Montalcini e Dulbecco, sono emersi come delle vere e proprie star in grado di emanare “sentenze” anche in campi differenti dal loro. Chi non ricorda la presenza di Dulbecco sul palcoscenico dell’Ariston durante il festival di Sanremo del 1999 con Fabio Fazio e Laetitia Casta?
Interessante è la disamina che Bucchi compie in merito al ritardo che sta aumentando, in tutti i tre Nobel scientifici (fisica, chimica e medicina), tra pubblicazione del risultato scientifico ed attribuzione del premio: sempre più occorre perlomeno un decennio prima che sia riconosciuta e premiata la scoperta. Le ragioni? Oltre ad una forte espansione quantitativa della ricerca, la cautela sta prevalendo. Una cautela frutto, probabilmente, di alcuni premi a dir poco “imbarazzanti” e “sconcertanti”. Nel 1927 venne premiato il danese Johannes Fibiger per aver scoperto un parassita ritenuto la causa del cancro. Solo qualche anno dopo si è dimostrato che si trattava di una emerita cantonata.
Come nella vita anche nel Nobel c’è chi ce la fa e chi per qualche motivo non viene riconosciuto per il suo merito. Il Nobel non si smentisce. La strada per Stoccolma è lastricata di gente dimenticata. Tra i tanti bisogna ricordare Thomas Edison e Nikola Tesla. In questa classifica rientra anche un italiano che ha ottenuto ben 61 nomination, ma purtroppo non è mai arrivato a destinazione. Molti dei premiati lo sono stati per la chimica; in realtà avrebbero ben potuto essere riconosciuti per la fisica o la matematica (premio che non si sa per quale motivo non esiste). La cosa si sta verificando, in qualche modo anche per la psicologia. Questa scienza non è tra le premiate dall’Accademia svedese. In realtà il premio Nobel Richard Thaler, nominato lo scorso 9 ottobre, è un economista che ha svolto importanti studi sulle scelte irrazionali dei singoli sul filone dell’economia comportamentale, dove la psicologia la fa da padrona.
Non è la prima volta che il Nobel va a studi di questa natura tanto che il Nobel per l’economia è già stato conferito a diversi studiosi che possono essere classificati come economisti comportamentali: George Akerlof, Robert Fogel, Daniel Kahneman (laureato in psicologia), Elinor Ostrom e Robert J. Shiller. Sarà mai che la “scienza triste” per antonomasia sta diventando “scienza calda” vicina alle persone? Ancora troppi economisti pensano che il modo migliore per descrivere il comportamento umano sia mettere in un angolo la psicologia e studiare il comportamento umano come una questione matematica di individui separati e inesorabilmente egoisti. Una dimostrazione? Il 23 settembre del 1998 la Federal Reserve fu chiamata a salvare d’urgenza il fondo speculativo LTCM, sovraccarico di svariati miliardi di perdite. Nulla di eccezionale se non fosse che il fondo era gestito da ben due premi Nobel per l’economia, Robert Merton e Myron Scholes, che lo avevano vinto grazie ad un lavoro sulla valutazione dei derivati.
Meglio i discorsi che le scoperte
La prima settimana di dicembre per Stoccolma è una di quelle in cui tutto il paese si raccoglie e festeggia i premi Nobel di quell’anno (solo il premio Nobel per la pace si svolge a Oslo). E’ una settimana che più di qualcuno ha voluto saltare, vedi ad esempio l’anno scorso il menestrello del rock Bob Dylan. Alla consegna della medaglia si aggiunge una cospicua somma di denaro (circa ottocentomila euro).
In realtà quello che resta a tutti noi, oltre alle scoperte, è il discorso che i premiati fanno. Normalmente sono delle conferenze in cui gli scienziati presentano la loro intuizione. In alcuni casi si ascoltano dei discorsi che da soli varrebbero il biglietto di entrata. Nel libro “Tra scrittura e libertà” (Editrice San Raffaele) sono pubblicati i più bei discorsi tenuti dai premi Nobel per la Letteratura. Mentre in “Costruire la pace” (Minimum Fax) si trovano i discorsi di alcuni premi Nobel per la Pace. Nel 1996 Wislawa Szymborska, in occasione del conferimento del suo premio alla letteratura, ha sintetizzato perfettamente come e perché nasce un Nobel: “L’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni. Il loro lavoro può costituire un’incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove. Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi. L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante non so”.
Titolo: Come vincere un Nobel
Autore: Massimiano Bucchi
Editore: Einaudi
236 pp; 17,50 Euro