L’immagine più bella è dopo, quando il vincitore è stato annunciato, le interviste sono finite e i ragazzi si avvicinano ai finalisti del Premio Galileo e chiedono autografi sui libri, fanno fotografie, si rivolgono senza imbarazzo agli autori che hanno votato e per cui hanno anche tifato. Se si tratta di avvicinare gli studenti alle scienze, insomma, il Premio Galileo ha funzionato, anche fisicamente. Poi c’è tutto quello che viene prima.
La dedica
La commozione autentica, per esempio, della vincitrice Cristina Cattaneo, quando dedica il premio anche i familiari delle vittime dei naufragi in mare, cui lei ha dato un nome e una storia in ” Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo”. Oppure l’entusiasmo con cui un’altra Cattaneo, Elena questa volta, la scienziata e senatrice a vita che è presidente della giuria di quest’anno, dice che «la ricerca ti prende il cuore e ti prende l’anima». O ancora la preoccupazione di Peter Wadhams, massimo esperto del ghiaccio, quando dice coi suoi capelli bianchi che sì, ancora qualcosa si può fare per evitare uno scioglimento che sarebbe devastante, ma bisogna farlo ora, subito, non c’è più tempo.
La sfida a cinque
Nell’Aula Magna del Bo la tredicesima edizione del Premio Galileo ha vissuto la sua fase conclusiva, con le interviste ai cinque finalisti, condotte da Alessandra Viero, i discorsi ufficiali del sindaco di Padova Sergio Giordani, dell’assessore alla Cultura Colasio, del prorettore Giancarlo Dalla Fontana a nome dell’Università. Premio di divulgazione scientifica, perché – come ha ricordato Colasio – il 50% degli italiani è ancora convinto che il Sole sia un pianeta, come nel medioevo, ma anche perché – come invece ha detto Elena Cattaneo – non coltivare la scienza significa, per una nazione «perdere ogni giorno qualcosa». In prima fila la giuria scientifica che ha scelto i cinque finalisti, dietro una rappresentanza dei cento studenti universitari di tutta Italia e delle classi padovane che hanno scelto tra i cinque finalisti il vincitore.
E il vincitore è, appunto, “Naufraghi senza volto” di Cristina Cattaneo, che ha battuto, nell’ordine d’arrivo – se così vogliamo chiamarlo – Peter Wadhams con “Addio ai ghiacci. Rapporto dall’Artico”, Roberto Defez, con “Scoperta. Come la ricerca scientifica può aiutare a cambiare l’Italia”, Sandra Savaglio, con “Tutto l’Universo per chi ha poco spazio-tempo” e Pietro Greco con “Fisica per la pace. Tra scienza e impegno civile”.
Per l’umanità
Una vittoria in qualche modo a sorpresa perché, come dice la stessa Cristina Cattaneo: «Io sono forse la meno scienziata fra i finalisti, perché le scienze forensi sono ancora poco riconosciute», ma in realtà il Galileo già in passato era stato in grado di segnalare opere non di “scienze dure”, come vengono definite. E certamente in questo caso ha pesato, come del resto nella scelta di tutti i finalisti, anche l’impegno etico che accompagna la ricerca. «Sono contenta» ha detto Cristina Cattaneo «perché in un momento in cui i diritti umani sono in difficoltà, gli studenti hanno mostrato di comprendere quanto la scienza possa fare in questo campo».
Nel suo caso dare nome e storia, ai morti dimenticati del Mediterraneo, mettendo la scienza al servizio della umanità, come ha sottolineato a più riprese Elena Cattaneo abbracciando la vincitrice. Due Cattaneo insieme che si abbracciano è la scena finale. Non parenti ma omonime. «Ci conosciamo poco anche se abbiamo lavorato nella stessa Università» dice Cristina Cattaneo «però un sacco di volte ci scambiano e ricevo lettere inviate alla senatrice». Elena Cattaneo conferma: «Qualche anno fa ho ricevuto una telefonata: siamo la Digos, abbiamo il corpo. Io mi sono preoccupata, ma cercavano lei».
*Il Mattino di Padova, 11 maggio 2019