La preoccupazione di Giuseppe Conte per lo stato della maggioranza, le defezioni nei 5 Stelle, è tutta nel silenzio ufficiale in cui si è chiuso, cercando di non entrare nelle dinamiche della prima forza di maggioranza. Di sicuro i piani per una verifica di governo in tre tappe, prima con le singole quattro forze che sostengono l’esecutivo, poi in un momento di discussione collettiva, e infine in una sintesi che spetterebbe al solo presidente del Consiglio, si complicano non poco con i movimenti parlamentari in corso, la possibile nascita di nuovi gruppi, il peso sempre più forte che i gruppi Misti hanno e avranno sia al Senato che alla Camera. Eppure Conte, almeno parlando con i suoi ministri, è convinto che nonostante tutto «il governo non rischia, perché nessuno vuole andare a votare», una convinzione che si basa sulla quasi certezza che tutti i transfughi del Movimento continueranno comunque a sostenere la maggioranza. Il premier appare abbastanza tranquillo, viene descritto già al lavoro sui diversi dossier della verifica, da quello del fisco a quello delle infrastrutture.
Anche nel Pd seguono le vicende del Movimento con apparente serenità: «È una dinamica interna di cui nutriamo rispetto. Per altro anche noi siamo reduci da fenomeni analoghi», dice il vicesegretario Pd, Andrea Orlando. «Hanno tutti chiarito che non si tratta di far venire meno il loro sostegno al governo e quindi non mi pare che questo sia il tema. Abbiamo rispetto e attenzione per la dinamica del Movimento 5 Stelle — continua Orlando — non è nostro compito intervenire in essa e guardiamo con soddisfazione al fatto che sia stata smentita qualsiasi ipotesi di defezione dalla maggioranza». Mentre per il segretario, Nicola Zingaretti, «il governo andrà avanti se si apre una fase che punti realmente alla crescita economica: noi all’interno della maggioranza guarderemo ai fatti e non alle polemiche».
La pensano in modo diverso ovviamente le opposizioni, che vedono nelle nomine delle partecipate pubbliche in scadenza l’unico vero collante di questo esecutivo: «Non hanno ancora trovato lo scollante per le poltrone, ma ogni momento è buono per andare a votare. Ora si è aperta la stagione della grande caccia. Da qui a marzo ci sono 400 poltroncine da dividersi, quelle delle aziende pubbliche, e al governo troveranno le armonie per andare avanti», dice Giorgio Mulé, portavoce di Forza Italia. «Il Pd intanto ha capito che ci vuole fegato per governare con i 5 Stelle, lo ha già capito prima della Lega. Non è normale che ci siano stati più di 30 vertici di maggioranza in 120 giorni. C’è un problema di visione politica, spesso distante e bipolare. Infatti questo governo — conclude — va avanti solo per le poltrone».
Un quadro che viene rilanciato anche da Carlo Calenda, leader di Azione: «Mi auguro che il governo cada e si vada alle elezioni, perché la rappresentanza si recupera nelle elezioni. C’è il rischio di finire con un nuovo bipolarismo fatto da un lato con Grillo, dall’altro con Salvini e Meloni, e per me vuol dire la fine dell’Italia». Eppure anche Calenda non crede possibile una crisi di governo, «perché a casa non ci vogliono andare, quindi sarà un gioco sempre sul filo delle elezioni, dove sostanzialmente il lavoro è quello di posizionarsi. Per cui Iv chiede di cancellare Quota 100, ma o non voti la manovra o non ha senso. Poi hai la prescrizione: il Pd dice che è sbagliata, ma poi entra in vigore».