La riforma sull’autonomia regionale rischia di alimentare tensioni. Fra le diverse aree del Paese. Ma anche fra i principali partiti. Dentro allo stesso governo. Negli ultimi giorni, in particolare, il deputato del Pd, Francesco Boccia, e il Governatore della Calabria, Mario Oliverio, hanno evocato apertamente il rischio concreto di divisione. Fra Nord e Sud. Meglio ancora: fra il Lombardo-Veneto, insieme all’Emilia Romagna, e il Mezzogiorno. D’altra parte, la riforma è in avanzato stadio di elaborazione. In Parlamento. Principale autrice: la ministra degli affari Regionali e delle Autonomie, Erika Stefani. Leghista vicentina. Garante delle attese e delle domande dei suoi elettori.
D’altronde, proprio in Veneto e in Lombardia, due anni fa, si svolse il referendum per l’autonomia regionale. In Veneto partecipò il 57% dei cittadini. Un afflusso molto più largo che in Lombardia, dove la partecipazione si fermò al 38%. Eppure, se osserviamo i dati del sondaggio condotto da Demos, circa un mese fa, il consenso dei cittadini al progetto, nel Paese, appare ampio. E diffuso. Quasi 6 elettori su 10 considera importante concedere “maggiore autonomia alle Regioni”. Con punte massime nel Nord ma anche nel Centro Nord. Più ridotte nel Centro Sud e nel Sud. C’è, dunque, l’impressione, di un clima d’opinione favorevole verso l’autonomia regionale. Almeno, un mese fa, prima che il dibattito, nel merito, si accendesse. Tuttavia, questo atteggiamento dipende, almeno in parte, dal significato attribuito all’ “autonomia”. Percepita, anzitutto, come “auto-governo”.
Attribuzione di maggiori poteri rispetto allo Stato centrale. Verso il quale la sfiducia dei cittadini resta ampia. Nonostante una certa ripresa del consenso, emersa nell’ultimo Rapporto “Gli Italiani e lo Stato”. Le Regioni, i Comuni, i Governatori e i Sindaci, sono, così, divenuti una sorta di “difensori del popolo” di fronte allo Stato Centrale. Un super-potere, che suscita sospetto e diffidenza. Ora, però, la riforma dell’autonomia rischia di cambiare in fretta questo sentimento. E di complicarlo, aggiungendo, alla sfiducia verso lo Stato, la sfiducia reciproca, fra le Regioni. Fra i cittadini delle Regioni. Per una ragione evidente.
L’autonomia “differenziata” potrebbe produrre, benefici e costi “differenziati”, fra le Regioni. Soprattutto fra Nord e Sud. In base al diverso grado di risorse e ai diversi indici di sviluppo delle diverse aree e delle diverse regioni. Non per caso il governatore della Calabria spinge per redigere una proposta unitaria delle Regioni del Mezzogiorno. Per ora, comunque, non è chiaro cosa succederà. Come sarà definita la riforma. E se davvero verrà realizzata. Un sondaggio di Demos per l’Osservatorio Nord Est, pubblicato sul Gazzettino lo scorso febbraio (di)mostra che metà dei veneti ritengono l’autonomia un obiettivo irraggiungibile. Che lo Stato non concederà mai. Tuttavia, in questa fase, l’opinione pubblica non sembra particolarmente preoccupata del problema. La sua attenzione è intercettata da altre emergenze. Per prima: l’immigrazione. Una paura “trasportata”, di volta in volta, da una nave carica di qualche decina di disperati. E in-seguita da telecamere e giornalisti. Minuto per minuto.
È, tuttavia, interessante osservare come gli orientamenti, in base alle preferenze politiche, mostrino differenze non del tutto prevedibili. Gli elettori della Lega, in particolare, non risultano i più “autonomisti”. Non solo perché gli alleati di FI si dimostrano più favorevoli all’autonomia, rispetto a loro. Ma perché la quota di quanti considerano l’autonomia “differenziata” uno dei due provvedimenti più importanti avviati o discussi dal governo, fra gli elettori della Lega, è limitato. Più ridotto rispetto alla base di FI e perfino del PD. Certo, ciò riflette il valore attribuito dai leghisti ad altri provvedimenti. In particolare, “quota 100” e la “legittima difesa”. Ma conferma una mutazione politica e culturale, in corso da tempo. La Lega di Salvini, infatti, è profondamente diversa dalle Leghe del passato. Non è più quella “regionalista” delle origini. Al tempo della Liga Veneta, della Lega Lombarda. Dell’Union Piemonteisa… Tantomeno, è la Lega nordista e padana, di Bossi e Maroni.
Oggi è una Lega “Nazionale”, proiettata a Destra. Alle recenti elezioni europee, ha occupato le regioni, un tempo “rosse”. Di sinistra. E marcia verso Mezzogiorno. Così, nel percorso verso l’autonomia differenziata, la Lega è destinata a scontrarsi con gli alleati di governo del M5s, che hanno la loro base residua a Centro Sud. La Lega di Salvini, oggi, è, a sua volta, al crocevia fra interessi e spinte contrastanti. Perché deve rivolgersi ai nuovi settori del suo “mercato elettorale”, posizionati nel Mezzogiorno. E nelle Isole. Come si è visto alle recenti elezioni. Europee e Regionali. Ma non può permettersi di ignorare le rivendicazioni delle sue tradizionali “zone di forza”. Espresse ad alta voce dai Governatori del Lombardo Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia.Così è facile immaginare, anzi, prevedere che il per-corso dell’autonomia non sarà facile. Si presenterà, piuttosto, come una corsa ad ostacoli. Condizionata da vincoli geo-politici complessi. Perché le Italie non sono solamente due. Non ci sono solo il Nord e il Sud. Le Italie sono molte. Molti Nord e molti Sud. Per non parlare del Centro. E hanno esigenze diverse. Interessi, spesso, contrastanti. Così, non è azzardato prevedere che, alla ricerca dell’autonomia, il Paese si perda…