Metti una sera dopo cena a teatro a ragionare di populismo con Ilvo Diamanti, Karoline Roerig, responsabile dell’ufficio per il dialogo italo-tedesco di Bonn, e il giornalista e direttore Paolo Possamai. Aggiungi idealmente un paio di posti a tavola per far accomodare Angela Merkel e pure Emmanuel Macron. Sì, proprio loro, la cancelliera inossidabile tedesca e il presidente francese. Che c’azzeccano con la serata? Tanto. Anzi, a dire il vero sono un po’ i campioni di quell’evoluzione del populismo che il sociologo vicentino chiama “Popolocrazia” nel suo libro scritto a quattro mani con Marc Lazar. Paradigmatica la sigla, EM. Sta per Emmanuel Macron e pure per En Marche! il movimento politico che l’ex ispettore delle Finanze ha fondato.
«Lui, il campione dell’establishment, ha vinto le elezioni utilizzando argomenti e dichiarazioni populiste», afferma Diamanti. Lo avreste mai detto? E la Merkel, che spiazzata a destra dalla crescita dei conservatori e in genere dall’affermazione di Alternative fur Deutschland, è tornata anche lei, come ricorda la storica tedesca, su temi che vanno alla “pancia” dell’elettorato? Dunque non resta che prendere atto di questo cambiamento, che non esclude nemmeno il nostro Paese. Ma cos’è cambiato al punto di dover modificare pure la terminologia.
«Il mito del digitale, della rete libera, della ricostruzione dell’Agorà ateniese dove tutti entravano e dicevano la loro ha portato a una democrazia immediata, intesa come subitanea ma soprattutto senza mediazioni. C’è il popolo, il governo e in mezzo niente ed è per questo che hai bisogno di capi. Del resto in tv e in rete ai partiti sostituisci i leader», sottolinea Diamanti.
Lo aveva sottolineato anche Enrico Mentana nel pomeriggio, ma Diamanti scava a fondo. Per esempio sui pentastellati di Di Maio «estremisti del senso comune, che hanno smussato i toni e che sono caratterizzati da una forte trasversalità politica perché sanno interpretare le domande della periferia, intesa non solo in senso territoriale ma anche politica». Intendiamoci, non mancano la polemica verso l’apparato, paura della globalizzazione, ma la vera novità è proprio la metamorfosi della democrazia, che trasforma se stessa inglobando e adeguando stili e linguaggi. Dimenticando che l’Agorà è stata la prima forma di democrazia ma votavano solo gli ateniesi.
*Il Giornale di Vicenza, 15 aprile 2018