In questi giorni di transizione tra il vecchio assetto politico e il nuovo varrà la pena tentare una riflessione no partisan sulle tendenze dell’occupazione. Ci sono alcuni trend che vanno analizzati e approfonditi. Partiamo dal calo dell’occupazione indipendente: secondo i calcoli del centro studi Adapt dal 2008 ad oggi è scesa di 642 mila unità. Si può pensare che siano artigiani e commercianti espulsi dalle conseguenze della Grande Crisi che ha tranciato la parte bassa dell’offerta ovvero piccole ditte e/o negozi incapaci di creare valore aggiunto. Basta pensare a tutte le attività minori oggi monopolizzate dai cinesi. Questo trend sembra aver cannibalizzato la tendenza contraria, tipica dell’economia della conoscenza, che vede crescere il lavoro autonomo di seconda generazione. Sta succedendo anche da noi ma i numeri sono sovrastati dal fenomeno di cui sopra. La domanda da porci diventa però un’altra: il ciclo del calo degli occupati indipendenti continuerà o si è esaurito? I dati di aprile ci segnalano un rialzo — che ha tenuto su l’intero saldo — ma ovviamente non ci si può basare su un mese. E dobbiamo scontare ancora i veri effetti della diffusione dell’ecommerce che taglia il lavoro dei piccoli esercizi e rafforza invece l’occupazione «povera» nella logistica. Non sappiamo poi se la selezione darwiniana delle piccole ditte artigiane è finita oppure se un peggioramento dello scenario economico ne faccia partire una seconda.
Sempre con riferimento ai dati Adapt dal 2008 ad oggi gli occupati a tempo indeterminato sono cresciuti di 72 mila unità. Per valutare questo dato bisogna aver presente tre fattori divergenti tra loro: i danni causati da 7 anni di recessione, le policy di incentivazione generosa dei posti fissi (Jobs act) e gli effetti statistici della legge Fornero che ha rallentato le uscite «gonfiando» così il numero degli occupati. Al netto di queste valutazioni la riflessione che si impone riguarda l’efficacia degli incentivi a stabilizzare. Che purtroppo appare debole, non per colpa dei governi, ma perché in epoca di cicli economici molto più corti del passato le imprese ci pensano tre volte prima di allargare la pianta organica. Il do tu des non sembra funzionare,«il rischio» di assumere non è compensato dai bonus.
Da qui arriviamo al terzo dato fornito da Adapt: il tempo determinato nello stesso arco temporale è cresciuto di 684 mila unità. Il fenomeno è così largo che forse la parola «precariato» non lo spiega del tutto. Si può ipotizzare che anche il mercato del lavoro sia diventato una filiera che prevede, per essere virtuosa, alcuni vagoni più leggeri ma è chiaro che ciò muta i connotati del mercato stesso. Costringe i nuovi arrivati in una posizione svantaggiata dovuto alle minore tutele ma anche alla maggiore difficoltà nel programmare la propria crescita professionale. La conseguenza immediata è che chi viaggia in questi vagoni leghi la propria condizione a un più generale deficit di giustizia sociale e poco vale raccontar loro che abbiamo fatto segnare «il record di occupati».