Con una battuta d’arresto che va ben oltre le attese il Pil dell’ultimo trimestre del 2019 ha chiuso con una variazione negativa dello 0,3% in termini congiunturali e nulla nei tendenziali (era 0,5% nel terzo trimestre). La stima preliminare Istat diffusa ieri ritocca di un decimale il dato sul primo trimestre (da +0,1% a +0,2%) con il risultato che sull’anno la variazione nei dati grezzi si mantiene positiva per lo 0,2%. Il Pil acquisito per il 2020 parte a questo punto con un segno negativo: -0,2%.
Difficile dire che cosa sia successo sulla base delle poche indicazioni che sempre accompagnano le stime provvisorie, chiuse a trenta giorni dal termine del trimestre su un insieme ridotto di indicatori congiunturali. Istat nella breve nota a commento parla di «calo marcato del valore aggiunto dell’industria e dell’agricoltura», a fronte di un sostanziale «ristagno del terziario». Mentre dal lato degli impieghi la domanda interna ha dato un contributo negativo (al lordo delle variazioni dei magazzini) mentre quella estera netta è stata positiva.
Interpellato dal Sole 24Ore, Roberto Monducci, capo del Dipartimento per la produzione statistica Istat, va un po’ oltre e spiega: «la flessione risente di fattori negativi, ciclici e congiunturali, comuni a diversi paesi dell’area dell’euro, come la Francia che ha subito una flessione dello 0,1%. Inoltre, la diminuzione del Pil italiano deriva da una convergenza di dinamiche negative settoriali, dipendenti anche da fattori di natura occasionale che hanno caratterizzato la fase finale dell’anno».
Dovremo aspettare il 2 marzo per leggere i risultati dei conti nazionali annuali del 2019 ma è ormai chiaro che siamo all’ottavo trimestre consecutivo con un reddito nazionale che oscilla attorno allo zero, e che in ben tre trimestri ha addiruttura perduto terreno. Per incontrare un calo congiunturale superiore ai tre decimali bisogna risalire al primo trimestre del 2013, sette anni fa, quando in piena recessione la variazione segnò un -0,8%, con un tendenziale a -2,9%. Il dato di ieri si discosta da gran parte delle previsioni: molti analisti, come rilevato anche dal consensus raccolto dall’agenzia Bloomberg, si attendevano un altro segno più, sia pur debole, in scia con i risultati dei trimestri precedenti.
Per l’anno appena cominciato le proiezioni più recenti restano quelle di Bankitalia (Bollettino economico del 17 gennaio scorso) che dando per stazionario il quarto trimestre 2019 proiettavano su un +0,5% la variazione per il 2020, +0,9% per il 2021 e +1,1% nel 2022 (previsioni, si sottolineava a più riprese, con rischi al ribasso). La prospettiva di Bankitalia è in linea con quella indicata dal Fondo monetario internazionale due giorni fa, in occasione della presentazione della comunicazione all’Italia prevista dalla procedura (Article IV). Nel Bollettino gli analisti parlavano anche di una flessione della produzione industriale nell’ultimo trimestre in linea con quella registrata nel terzo, e di un ulteriore calo degli indici di fiducia del manifatturiero. Ieri mattina Bankitalia ha diffuso il dato di gennaio, leggermente in miglioramento (da 0,16 a 0,25) dell’€-Coin, l’indicatore che fornisce in tempo reale una stima sintetica del quadro congiunturale corrente nell’area monetaria. È la conferma di una crescita che si muoverà anche nei mesi a venire su prospettive modeste, sostenuta soprattutto dal favorevole andamento dei tassi d’interesse che ha più che compensato il persistente pessimismo delle imprese manifatturiere, e dalle indicazioni positive che arrivano sul fronte della spesa delle famiglie.