Il giorno dopo l’Istat conferma l’inusuale anticipazione del presidente del consiglio Giuseppe Conte. Anzi, la peggiora. Perché le indiscrezioni della vigilia indicavano una flessione del Pil, nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, pari allo 0,1%. Mentre il dato certificato ieri dall’Istat è un più preoccupante meno 0,2%. Cambia poco. Da ieri l’Italia è ufficialmente in «recessione tecnica», situazione che si verifica quando davanti al Pil c’è il segno meno per due trimestri di fila. E il dato di ieri si somma a quello del terzo trimestre 2018, che aveva già fatto segnare un meno 0,1%. Un doppio meno che arriva dopo quattordici trimestri consecutivi di crescita, sebbene tutt’altro che esplosiva. Nella selva dei numeri, in realtà, il dato più allarmante è un altro. E cioè la crescita acquisita per il 2019, meno 0,2%. È l’andamento del Pil che avremmo se nel resto dell’anno la crescita dovesse rimanere pari a zero, ed è dovuta all’effetto trascinamento dell’ultima parte del 2018. Siamo lontanissimi da quel più 1% che il governo ha messo alla base della legge di Bilancio.
Sullo spread non ci sono stati effetti rilevanti. Il differenziale tra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi è stabile: ha chiuso a 244 punti contro i 242 del giorno precedente. Pesante l’andamento delle banche in Borsa, dove il settore ha chiuso con una perdita vicina al 4%, per il timore che il rallentamento dell’economia possa generare una nuova ondata di crediti deteriorati rendendo più difficile lo smaltimento di quelli già in carico. Alzando la lente d’ingrandimento sull’intero listino, però, la Borsa di Milano ha contenuto le perdite chiudendo in calo dello 0,21%.
Il premier Conte conferma la linea del giorno precedente: «Non temo che l’Ue ci chieda una manovra correttiva, non ci sarà nessun taglio alla sanità». A suo giudizio si tratta di una recessione «transitoria» dovuta alla flessione del commercio internazionale per la «guerra dei dazi tra Usa e Cina che ci vede tutti perdenti». In realtà l’Istat sottolinea come sull’andamento del Pil ci sia stato un «apporto positivo della componente estera» e un «contributo negativo della componente nazionale». Sono i consumi e gli investimenti che non tirano. Ma dal governo non arrivano solo dichiarazioni tranquillizzanti.
Secondo il vicepremier Luigi Di Maio, «i dati dell’Istat testimoniano una cosa fondamentale: chi stava al governo prima di noi ci ha mentito, non ci ha mai portato fuori dalla crisi». Un attacco respinto dall’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (Pd): «È pericoloso minare la credibilità di dati che sono certificati da istituzioni indipendenti». E che non viene condiviso dall’altro vicepremier, Matteo Salvini: «Non mi interessa dire “è colpa tua, è colpa mia”. Noi abbiamo approvato una manovra economica a Natale e i risultati si vedranno nel 2019». Anche il leader della Lega esclude l’ipotesi di una manovra correttiva, promettendo che in caso «sarà per ridurre le tasse».
Dall’opposizione il Pd chiede che il ministro Tria riferisca alla Camera,sostenendo che il governo sta usando la questione migranti come «arma di distrazione di massa». Secondo l’ex premier Paolo Gentiloni, «vengono buttati al vento gli sforzi degli ultimi anni», mentre secondo Mariastella Gelmini (FI) il governo «deve cambiare agenda». Dal governo preferiscono sottolineare i dati sul lavoro, pubblicati sempre ieri dall’Istat. A dicembre il tasso di occupazione è arrivato al 58,8%, il livello più alto da prima della crisi. Rispetto a un anno fa ci sono 202 mila posti in più. Ma mentre crescono i contratti a termine e gli autonomi, sono in calo i dipendenti stabili. Numeri a due facce anche per la disoccupazione: il tasso generale a dicembre è sceso di 0,2 punti percentuali, arrivando al 10,3%. Ma sale quello giovanile, che guadagna 0,1 punti e tocca il 31,9%.