Luigi Di Maio deve essere molto nervoso per essere arrivato ad attaccare in maniera sguaiata Mario Draghi. La colpa del presidente della Banca centrale europea? Aver ricordato all’Italia che la Bce non esiste per finanziare i deficit pubblici, e che il governo ha una sola strada per ridurre gli interessi sul debito, ovvero cambiare la sua politica economica. Verità lapalissiane, che solo chi non ha idea di come funzioni una banca centrale moderna necessita di spiegazioni.
Il leader dei 5 Stelle merita, però, umana comprensione. La legge di bilancio a cui ha legato le sue prospettive personali e politiche si sta sfarinando davanti ai suoi occhi ancora prima di arrivare in Parlamento. La salita dello spread tra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi, ormai fisso intorno ai 300 punti base, si sta mangiando gran parte dei margini di spesa su cui contava per le sue promesse elettorali. L’aumento dei costi di finanziamento per le banche rischia di scaricarsi su famiglie e imprese e far rallentare bruscamente l’economia, stringendo ulteriormente gli spazi del bilancio pubblico. Infine, il crollo del valore dei Btp in pancia agli istituti di credito potrebbe obbligare il governo a dei salvataggi, trasformando la “manovra del popolo” nella “manovra delle banche”. Una vera nemesi, per chi ha costruito la sua carriera politica ululando contro i poteri forti.
La verità è che, al netto delle sparate contro Draghi o la Commissione europea, si incominciano a intravedere i contorni di un Piano B. La strategia sembra essere quella di mantenere invariati i saldi di bilancio almeno per il 2019, in modo da salvare la faccia a Di Maio e a Matteo Salvini, smontando però silenziosamente le misure spot di Lega e 5 Stelle. Lo schema è quello già seguito con successo sulla flat tax, trasformatasi da prodigiosa riforma fiscale a un taglio delle imposte solo per alcuni lavoratori autonomi. Allo stesso modo, il reddito di cittadinanza potrebbe non partire subito, per poi magari incorrere in ulteriori ritardi per sopraggiunte difficoltà di attuazione. Pure la contro- riforma delle pensioni (” Quota 100″) rischia di ridursi a una misura una tantum, a cui non si sa se ci sarà seguito nel 2020. Come ha detto lo stesso premier Giuseppe Conte, l’obiettivo del governo del rapporto tra deficit e prodotto interno lordo non salirà oltre il 2,4%, e potrebbe essere inferiore.
Anche sulle banche, comincia ad apparire una strategia alternativa. Lontani sono i giorni in cui Di Maio diceva che le difficoltà di ” sette- otto” istituti non lo avrebbero intimorito. Giancarlo Giorgetti, il cauto sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha già spiegato che il governo è pronto a intervenire ove necessario, evitando i ritardi che hanno caratterizzato i salvataggi effettuati negli ultimi anni. Pure Salvini parla ormai apertamente di questa ipotesi, provando a camuffare quella che sarebbe un’evidente prova del fallimento dell’esecutivo in un’azione patriottica. E Di Maio? Si accoda goffamente anche lui, dicendo che i soldi non dovranno venire necessariamente dai cittadini italiani. Un’idea balzana: come se gli investitori stranieri avessero interesse a salvare le nostre banche più fragili. Questa raffazzonata strategia di riserva è probabilmente l’unica per provare a rallentare la corsa verso il baratro, superando i veti di Salvini e Di Maio. Il problema è che se anche fosse silenziosamente attuata, rischierebbe anch’essa di fallire. Un tacito auto- boicottaggio da parte del governo delle sue stesse politiche non sarebbe facile da comprendere per gli investitori, che chiedono invece un cambio di regime chiaro. Qualsiasi intervento sulle banche andrebbe fatto conformemente alle regole europee, che richiedono il coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti – un’idea a cui Lega e 5 Stelle sono sempre stati contrari.
L’alternativa è un braccio di ferro con Bruxelles e Francoforte, che rischierebbe di rallentare qualsiasi ricapitalizzazione e scatenare una nuova ondata di vendite sui mercati. Una mezza retromarcia su manovra e banche, dunque, non basterà a recuperare la fiducia perduta. Governare è molto più difficile che inventarsi un nuovo nemico ogni giorno.