Atlantia boccia la bozza del piano di rilancio di Alitalia. Lo ha messo nero su bianco in una lettera al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. È quanto apprende il Corriere da due fonti. Atlantia chiede profonde modifiche per poter proseguire nell’operazione. È stato un mercoledì pomeriggio drammatico per il consorzio e gli advisor che da mesi lavorano all’offerta vincolante per rilevare la compagnia aerea. Atlantia, dopo un lungo braccio di ferro con Delta Air Lines (che assieme a Fs è intenzionata a entrare nel vettore tricolore), vedendo il muro degli americani su almeno un paio di nodi — le quote e le rotte transatlantiche, il mercato più redditizio di Alitalia — ha deciso di rivolgersi direttamente a Patuanelli sperando così in un intervento più deciso del governo sugli statunitensi. Nella lettera Atlantia comunica di voler fare un’operazione trasparenza perché secondo la holding controllata al 30% dai Benetton il progetto non rilancerebbe Alitalia. Il gruppo — che preferisce non commentare — sarebbe intenzionato a continuare a lavorare con Delta, ma ribadisce che il piano industriale non può funzionare. La lettera arriva a meno di due settimane dal 15 ottobre, termine per la presentazione dell’offerta vincolante e definitiva. Un modo per concedere il tempo utile al consorzio per cambiare rotta.
Dal fronte americano si registrano passi avanti. La compagnia Usa avrebbe accettato di ritoccare al 12% la propria partecipazione investendo così 120 milioni, venti in più rispetto alla cifra preventivata inizialmente per il 10% della newco. Un «cip» per evitare che Alitalia transiti verso Lufthansa, entrando nel capitale al minimo sindacale senza la garanzia di dover crescere sul modello Aeromexico, dove Delta adesso detiene il 49%. Non un grande risultato per la compagine italiana perché l’impegno di Delta sembra irrisorio. Secondo questo schema Ferrovie dello Stato ed Atlantia avrebbero ciascuna il 36,5% della cordata (365 milioni di investimento a testa). Al Tesoro resterebbe il 15%, per effetto della conversione in capitale di 150 milioni del prestito-ponte.
La costituzione di patti parasociali per far pesare di più questa quota — magari scegliendo anche il capoazienda (che Delta pretende sia un manager già esperto di trasporto aereo) — ha trovato i soci italiani molto restii. Sulla falsariga di quello che successe con Etihad, che però entrò nella compagine sociale col 49%. La differenza la fa l’ernorme potere negoziale degli americani, che hanno un network di partecipazioni e di rotte sterminato, il pivot globale dell’alleanza SkyTeam e connessioni con China Eastern (con quote incrociate in Air France-Klm) che le permette di essere coperta con la Cina e l’Oriente.