Che la ripresa dei consumi avviata un paio di anni fa fosse ancora fragile è sempre stato chiaro a tutti gli operatori del commercio. Troppo altalenante l’andamento delle vendite al dettaglio perché potesse replicarsi il risultato con cui si era chiuso il 2017. Sin dall’inizio del 2018 l’Istat ha registrato segnali di incertezza e con settembre è arrivata la doccia fredda, che lascia prevedere una chiusura d’anno in stagnazione se non in leggera flessione. Le vendite al dettaglio sono diminuite in valore dello 0,8% rispetto al mese precedente (il calo peggiore da inizio anno) e del 2,5% su base annua. E quel che è peggio è che il calo riguarda tutte le categorie merceologiche, dall’alimentare (-1,6% sull’anno) al non alimentare (-3,1%), con poche eccezioni. Si salvano soltanto elettrodomestici, radio, televisori e registratori, mentre i peggiori risultati sono quelli di calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-7,1%), abbigliamento e pellicceria (-6,3). Nel trend negativo finiscono anche i prodotti farmaceutici e quelli per la casa, i giocattoli e i libri. Il più colpiti sono i piccoli negozi (-4,3%) ma non va bene nemmeno alla grande distribuzione (-1,2%), con l’eccezione dei discount alimentari (+1,5%). Persino l’e-commerce – che pure continua a crescere – segna il passo: +2,7% su base annua, contro il +10,3% cumulato dei primi nove mesi dell’anno.
Alcuni fattori stagionali (come le temperature ancora molto elevate per tutto il mese di settembre) aiutano a spiegare in parte il calo e lasciano sperare in una ripresa nell’ultimo trimestre. Ma la lettura incrociata dei dati sui consumi con gli altri indicatori macroeconomici (fiducia delle famiglie e delle imprese, occupazione, produzione industriale e Pil) non permette di prevedere una reale inversione di tendenza.
A destare allarme, secondo il presidente di Federdistribuzione Claudio Gradara,è soprattutto il dato relativo ai primi nove mesi dell’anno: -0,1% a valore e -0,7% a volume. «Le previsioni delle nostre aziende non sono ottimistiche – spiega –. Dobbiamo fronteggiare una domanda stagnante e un’inflazione in crescita per gli effetti degli aumenti del petrolio, fattore che contribuirà a comprimere ulteriormente gli acquisti nei prossimi mesi».
L’incertezza economica non aiuta né gli investimenti delle imprese né la propensione all’acquisto delle famiglie. E se il congelamento dell’aumento dell’Iva ha fatto tirare un sospiro di sollievo alle aziende, la prospettiva di una stretta sulle aperture domenicali rappresenterebbe un ulteriore freno ai consumi: Federdistribuzione stima che la chiusura dei negozi durante i festivi porterebbe nel giro di un anno a una perdita di oltre 5 miliardi di consumi (-4,6% sulle vendite della distribuzione moderna organizzata), mettendo a rischio 32mila posti di lavoro, che salirebbero a 42mila con l’indotto.
Anche secondo Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio, il dato di settembre è preoccupante e spinge a rivedere al ribasso le stime sui consumi per il 2018: «Il valore è leggermente sotto le aspettative, ma letto assieme agli altri indicatori macroeconomici restituisce uno scenario di mancanza assoluta di crescita dei consumi – afferma –. L’occupazione ha smesso di crescere, l’andamento del Pil frena, la produzione industriale è negativa e inoltre anche il forte calo della Borsa da inizio anno ha determinato una perdita di ricchezza delle famiglie». Difficile, in questo scenario, immaginare che i consumi possano rialzare la testa nell’ultima parte dell’anno.
«Il dato di settembre registrato dall’Istat è davvero pesante – osserva Marco Pedroni, presidente di Coop Italia –. In queste dimensioni non era un dato atteso e diventa difficile fare previsioni su ciò che succederà da qui alla fine dell’anno. Certo è che registriamo un atteggiamento di sfiducia crescente da parte delle famiglie che giustifica l’attitudine al risparmio. Troppi elementi di incertezza stanno producendo inevitabili contraccolpi che si riversano anche sui comportamenti di spesa». Anche Francesco Pugliese, am ministratore delegato e direttore generale di Conad, parla di una mancanza di fiducia che impatta negativamente sui consumi: «Un altro elemento di forte preoccupazione è dato dal calo significativo dei margini per le imprese. In questo contesto –conclude – pensare a un ritorno delle chiusure domenicali significherebbe dare la batosta definitiva al settore».