Marco Bonometti, Enrico Carraro, Pietro Ferrari e Fabio Ravanelli sono i presidenti delle Confindustrie della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte. Dati Istat alla mano rappresentano 36 mila aziende iscritte, 300 miliardi di export e una parte rilevante degli 835 miliardi di Pil delle quattro regioni.
Sono di fatto i protagonisti di quel Partito del Nord che incarna – come ha scritto Angelo Panebianco ieri – «l’Italia che non perde la speranza» e che «anche elettoralmente è più forte i quanto i suoi nemici immaginino». Bonometti & C. si tengono ben lontani dal tutti-contro-tutti della lotta politica italiana e si sforzano di parlare solo ed esclusivamente di contenuti. Non sembrano orfani del vecchio governo né parlano di urne per rovesciare il quadro politico, sono però fortemente delusi dal Conte bis e dalla manovra di politica economica.
La lettera ai deputati
Carraro ha scritto in questi giorni una lettera ai deputati e ai senatori veneti per chiedere modifiche parlamentari a tre provvedimenti: a) plastic tax, b) sugar tax, c) auto aziendali. Apprezza la scelta governativa di ridurre il cuneo fiscale «ma non ho ancora chiaro il come e il quanto, alla fine mi pare un provvedimento puramente simbolico». Così quello che doveva essere un anello di fidanzamento tra giallorossi e partito del Pil finisce per contare quasi zero. Al punto che Ravanelli nella manovra sostiene di vedere «tante ombre e solo una luce, l’aver scongiurato l’aumento dell’Iva». Spiega il piemontese: «Questo governo come il precedente è composto da forze antitetiche tra loro, di conseguenza non può coltivare progetti lungimiranti ma si muove solo per evitare che esplodano le contraddizioni tra Pd e 5 Stelle. Così tira a campare».
Cultura della crescita
Più tranchant Bonometti: «Se volevano distruggere il sistema industriale ci stanno riuscendo. Sono stati sprecati 20 miliardi con quota 100, reddito di cittadinanza e prima con gli 80 euro senza creare occupazione e senza andare incontro ai giovani. I 5 Stelle li abbiamo visti sia con la Lega sia con il Pd, stesso risultato. Quindi è un problema di cultura della crescita che non hanno». Aggiunge Ferrari: «E’ un governo dell’improvvisazione. Le misure che propongono non sono pensate né curate dal punto di vista tecnico e legislativo».
L’esempio che il presidente emiliano porta è quello della plastica. «Siamo i primi a voler cambiare ma fare passi in avanti sul terreno del riciclo dei materiali prevede studi, cambiamenti dei processi e delle tecnologie. Le nostre aziende lo stanno facendo, i loro sforzi andrebbero incentivati e non demonizzati». Aumentare anche solo del 10% la componente biodegradabile delle confezioni del latte «richiede tempo e testa». Ravanelli insiste: «Le nostre aziende già pagano i contributi per il consorzio del riciclo e con preavviso zero si sono visti introdurre un raddoppio dei costi. Ma così si penalizzano le imprese e non si incentivano le forme alternative». E si dimentica che nel riciclo l’Italia è una best practice europea. «Spero proprio che il Parlamento lo capisca e cambi la plastic tax».
Tasse disperse
Rincara la dose Bonometti: «E’ vero che hanno evitato l’aumento dell’Iva ma hanno creato nuove tasse disperse in tanti rivoli. Penso alle auto aziendali. Tassandole causeranno una diminuzione del 70-80% mettendo a rischio circa 250 mila immatricolazioni. I dipendenti torneranno a usare la loro auto e chiedere il rimborso chilometrico, una soluzione anacronistica». Invece la scelta saggia sarebbe ripristinare il super-ammortamento per le auto ad uso strumentale, «che in passato per ogni euro abbonato aveva generato 3 euro di entrato per lo Stato e gli enti locali». Mentre la Baviera ha stanziato 50 miliardi per affrontare la crisi dell’auto, «il ministro Patuanelli ha annunciato tavoli e sottotavoli ma nella manovra non c’è niente di concreto». Se si vogliono ridurre le emissioni di CO2 bisogna incentivare l’acquisto di vetture nuove, «perché oggi girano ancora sulle strade 15 milioni di auto euro3 ed euro4».
Opere per 70 miliardi
Anche sulle infrastrutture gli industriali del Nord sono lividi. Sostiene Ravanelli: «La Torino-Lione è stata sbloccata da un voto parlamentare ma l’alta velocità verso est non può finire a Brescia. I grandi corridoi europei sono la stella polare e noi dobbiamo connetterci con loro, ma non sembra essere questa la cultura di questo governo. Spero che l’Europa decida un grande piano à la Delors e chiami l’Italia a fare la sua parte. Intanto ci sono 70 miliardi di opere già spesati e cantierabili che andrebbero fatte partire. Potremmo cominciare da qui». Chiude il quaderno delle doglianze la sugar tax, le imprese settentrionali anche in questo caso non fanno sconti e bocciano il governo. Argomenta per tutti Carraro: «E’ vero che c’è una sensibilità popolare salutista ma il governo l’ha giocata contro le imprese. Ci sarebbe voluto un piano a medio termine, hanno preferito esibirci come capro espiatorio e tassarci d’emblée». Ma tanta distanza con il governo porterà le imprese emiliane a tifare per il ribaltone in Regione? «Più che distanti siamo equidistanti – risponde Ferrari – Rispettiamo la dialettica democratica, ci limitiamo a sperare che chiunque vinca non butti via ciò che di buono già c’è. Penso alla legge per attrarre investimenti. Sono arrivate Lamborghini, Philips Morris e Toyota, tre pesi massimi». Il contrario dell’Ilva dove un peso massimo l’abbiamo aiutato a scappare.