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Cultura umanistica e cultura scientifica: diverse e, spesso, fra loro distanti. Sono «le due culture», come le ha polemicamente definite cinquant’anni fa Charles Snow, fisico e scrittore inglese. Questo dualismo appare ancora più evidente oggi, in un momento in cui l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo di fare ricerca, anche e soprattutto nel mio ambito — quello biomedico — elaborando grandi quantità di dati o di letteratura scientifica, e facendo perfino ipotesi di ricerca e diagnosi. Sta a noi, certamente, cogliere i vantaggi di queste tecnologie, senza dimenticare l’unicità dell’elemento umano, che guida e dà un senso ai dati analizzati.
In un momento in cui il divario fra le due culture rischia di ampliarsi ulteriormente, un gruppo di filosofi e di scienziati — fra cui il fisico Carlo Rovelli e io — pubblicano insieme un lavoro su una rivista scientifica autorevole (Pnas) in cui sostengono, argomentandolo, come la scienza abbia bisogno della filosofia. Un paradosso di questi tempi, soprattutto in un Paese come il nostro, purtroppo scientificamente analfabeta? Non lo è affatto, così come non è un caso che, come illustrazione dell’articolo, gli autori abbiano scelto la Scuola di Atene di Raffaello: un tributo alla cultura classica ed umanistica del nostro Paese. Scienza e filosofia hanno radici storiche antiche comuni. Non dimentichiamo, infatti, che nell’antica Grecia Aristotele è stato un grande scienziato oltre che un grande filosofo. E nell’800 la grande scienza inglese e la sua rinascita a Cambridge, uno dei luoghi nel mondo con la più alta intensità di Premi Nobel, nascono dalla cosiddetta Philosophical Society.
In passato, anche in quello più recente, la contaminazione tra filosofia e scienza ha portato avanzamenti in campo scientifico. Ha radici filosofiche, ad esempio, in immunologia l’ultima ipotesi di paradigma generale del funzionamento del sistema immunitario: riconoscere la discontinuità, con il mondo microbico e nel danno ai tessuti. Ancora, nel settore delle staminali la definizione delle varie classi di cellule effettuata da Hans Clevers. Anche se, probabilmente, il settore delle scienze della vita in cui c’è stato un impatto più diretto della filosofia è quello delle scienze cognitive, dove le riflessioni di alcuni filosofi come Jerry Fodor sulla modularità della mente hanno anticipato e guidato la ricerca di tipo psiconeurologico sui meccanismi cognitivi.
Al di là dei contributi specifici, tuttavia, c’è un valore fondamentale e fondante della riflessione filosofica che è alla base della ricerca scientifica e medica: è la formazione al pensiero critico, che costituisce il vaccino di cui abbiamo bisogno per poterci orientare correttamente nei confronti delle cosiddette fake news. È questa la cultura umanistica di cui la scienza ha bisogno, e da cui non può prescindere. Difenderla non significa arroccarsi su posizioni obsolete e acritiche discutendo, ad esempio, dell’insegnamento di materie scientifiche in inglese. Significa, piuttosto, promuovere il pensiero critico che riflette sulle frontiere della scienza, sulle sfide anche di tipo etico che ci attendono. Penso ai recenti casi di modificazione genetica di embrioni umani che hanno portato alla nascita, in Cina, di due gemelli il cui Dna è stato modificato per renderli resistenti al virus dell’Aids, senza uno scopo medico che lo giustificasse.
L’incontro e il merge delle due culture è ciò che gli autori dell’articolo su Pnas si augurano, per il progresso della scienza e del pensiero. La filosofia che conosce bene la scienza e che si confronta con il suo avanzamento può essere dunque — magari anche attraverso la frequentazione di centri di ricerca, come proposto nell’articolo — uno strumento importante per costruire ponti al servizio della società.
*Corriere della Sera, 23 marzo 2019