Sono 40 le imprese Champions che hanno scelto la Borsa nel proprio perimetro strategico di evoluzione: 16 sono all’ Euronext Growth Milan, mercato con un approccio regolamentare limitato e chenonprevede requisitiminimi di capi talizzazione; sette all’Euronext Milan, destinato aad aziende a media e grande capitalizzazione, spesso fisiolo gico approdo dopo un passag gio dall’Egm; 17 all’Euronext Star Milan,rivolto a piccole emedie so cietà più strutturate sul versante della governance e dell’assetto finanziario e che adottano requisiti più elevati in termini di trasparenza. È un numero, quel 40, che a un primo impatto appare poco significativo, soprattutto se pensiamo che l’insieme delle Champions rappresenta nei fatti il vivaio delle quotabili, cioè delle imprese più idonee ad approc ciare il mercato professionale dei capitali nel futuro prossimo. E in effetti, se lo rapportiamo al totale delle società oggi quotate (410) arriviamo a stento al10%. Analogamente, se guardiamo alle Ipo degli ultimi cinque anni, solo il 13% delle imprese che hanno suonato la campa nella a PiazzaAffari(23 aziende su183 totali) sono oggi comprese nell’elenco delle Champions.
Scegliere la Borsa come leva strategica per la crescita significa, prima di tutto, sposare un concetto di proprietà e governance più allargatoeinclusivo rispetto alla libertà di azione di imprese fami gliari improntateauna catena corta ed efficiente di comando. Al tem po stesso, significa però anche cogliere l’opportunità di intercettare un potente moto di accelerazione ai piani di evoluzione dell’azienda, e una leva per farne emergere il valore differenziale. Le motivazioni che anima no questo percorso e le parallele aspettative da parte dei soci differiscono, e spesso divergono, da caso a caso e sono il risultato della valutazione di una serie di vantaggi e limitazioni, grandi opportunità ma anche rischi potenziali. Ogni quotazione ha un suo esordio e una sua evoluzione peculiare (spesso anche una fine).È un percorso all’interno del quale il legame finanziario, relazionale e comunicativo con gli stakeholders deve procedere parallelamente allo sviluppo del progetto industriale, e richiede un approccio culturale ingrado di gestire la complessità e la volatilità di un sistema soggetto a sollecitazioni diverse e contra stanti. Quotarsi non rappresenta solamente una delle scelte possibili per reperire ri sorse finanziarie sul mercato dei capitali. È una scelta che porta indubbi benefici in un mondo in cui gli scenari competitivi sono sempre più complessi, globali e mutevoli, e può generare solide opportunità di lungo termine. Per fare solo alcuni esempi: maggiore visibilità e attrattività sia sul versante degli sbocchi di mercato che su quello interno, con la possibilità di attirare competenze di alto livello; creazione di valore non solo per gli azionisti ma per tutti i portatori di interessedella società; opportunità di evolvere la struttura e la cultura organizzativa; possibilità di crescere per linee esterne utilizzando il concambio di azioni. Dall’altro lato vi sono i fattori che frenano la spinta verso la quotazione: dai costi(da quelli «vivi» riguardanti il processo e il mantenimento dello status di quotata, a quelli necessari al potenzia mento e all’integrazione della struttura per adeguarsi ai requisiti di governance e di compliance), all’esposizione del valore aziendale alla turbolenza di eventi congiunturali esogeni, al trasferimento di informazioni di valore verso i concorrenti.
In realtà il rischio più ele vato,aben vedere, è quello che il mercato non riconosca all’imprenditore il valore del suo progetto e della sua impresa. È uno dei motivi che hanno de terminato, assieme al flusso di Ipo che nono stante tutto ha caratterizzato anche quest’ultimo triennio così denso di eventi negativi, anche un consistente flusso in uscita da Piazza Affari. È un dato di fatto che, oggi, la capitalizzazione di Borsa sul Prodotto interno lordo è inferiore a quella di 20 anni fa. In definitiva: perché le Champions scelgono così di rado la Borsa come veicolo di crescita? L’analisi delle 40 Champions quotate testimonia che la quota zione produce generalmente un vantaggio sul lungo termine, perle imprese solide e in crescita, e rappresenta dunque un ottimo booster per far emergere il valore di mercato dell’impresa. Sul ver sante delle performance queste imprese registrano risultati in media addirittura migliori rispetto al cluster di riferimento e i multipli di valorizzazione di mostrano che il mercato (tranne qualche eccezione) riconosce il valore dei progetti industriali sottostanti. Eppure, i motivi di poca affezione rimangono. Il tema principale, cioè la ricerca di capitali per progetti di crescita, in realtà non impatta in modo significativo sulle Champions. Sono aziende iper patrimonializzate, con riserve di cassa e potenzialità di ricorso al credito spesso superiori a quelle che potrebbero derivare da un’Ipo. A questo si aggiunge la forte concorrenza del private equity e degli investitori istituzionali, legata alla grande massa di liquidità riversata sui mercati negli ultimi anni e ai bassi tassi di interesse, che consente di modulare l’ingresso di capitali terzi con impatti più soft sul versante della regolamentazione e della rendicontazione. E infatti è sicuramente maggiore il numero delle Champions che alla Borsa hanno preferito l’ingresso di un fondo. Spesso, peraltro, l’arrivo di un private equity rappresentia una sorta di training per allenare l’impresa a quel salto strutturale e culturale che la quota zione richiede.
Un altro tema riguarda le dimensioni aziendali, mediamente più sbilanciate verso le piccole che non le medie imprese : la quotazione all’Egm(segmento non regolamentato, ma poco liquido, con maggiore volatilità) rappresenta un valido trampolino di lancio verso il mercato principale, una sorta di porta di ingresso per quei progetti caratterizzati da rapida crescita e forte creazione di valore, cosa non necessariamente alla portata di tutte le imprese quotande.
Sul tema non è scontato, e sarebbe riduttivo, arrivare a formulare conclusioni generali. Se ne può però ricavare una lezione. Nel contesto dei mercati finanziari sui quali queste imprese sanno e sono in grado di muoversi con grande agio, forti della centralità del ruolo del progetto industriale rispetto a quello finanziario nell’orizzonte di crescita dell’impresa, la scelta non è obbligata. Ma, quando viene abbracciata, diventa una leva di creazione di valore e di governo dell’impresa nel lungo termine in grado di contrastare anche le turbolenze esogene di un mondo in rapido mutamento.