È la giornata dell’orgoglio renziano. Lui non c’è ma è come se ci fosse: è suo il nome più evocato negli interventi dal palco e nei conversari in platea, da Maria Elena Boschi a Teresa Bellanova, dal medico napoletano al militante di Prato, tutti lì a struggersi per le gesta perdute — i mille giorni, la rottamazione, la forza della visione. Proprio un’altra storia rispetto alla «linea incolore» del “nuovo Pd”, che fa sospirare di nostalgia i 500 stipati nella saletta dell’Hotel Cenacolo trasformata in un microonde dal caldo che fa.
La prima convention nazionale di Roberto Giachetti, che in tandem con Anna Ascani ha sfidato Zingaretti al congresso, si celebra ad Assisi in assenza del capo. Sono tutte per lui le parole, i pensieri, i cori. Intonati all’unisono quando Ettore Rosato, il coordinatore dei comitati civici, si abbandona a una riflessione simile a una professione di fede: «Se la politica richiede leadership, io dico che di leadership in giro se ne vedono tante, ma di quelle che muovono il Paese ne ho vista una». Una, la sua, s’intende. «Ma-tte-o Ma-tte-o» esplodono gli ospiti come non aspettassero altro. È Renzi che vogliono, cercano, pretendono torni al comando. Il Nazareno vissuto come una Bastiglia occupata da usurpatori senza titolo né coraggio, da espugnare di nuovo: è già successo, no? Le truppe sono pronte: non fuori, ma dentro il Pd.
Lo dice Luciano Nobili, offrendo un consiglio a Zingaretti: «Non ceda alla tentazione di provare quanti voti prendere senza Renzi e tutti noi». Lo ribadirà Giachetti, alla fine: «Non solo vogliamo restare, ma reclamiamo il diritto di starci con le nostre idee. Esprimerle non è “fuoco amico”, come ci hanno rimproverato. Se non siamo entrati in segreteria non è per capriccio, ma perché non condividiamo la linea di Zingaretti. E se qualcuno pensa che saremo noi a risolvergli il problema andandocene, sbaglia di grosso. Semmai lo faremo, lo decideremo noi. Anche se a volte la tentazione di mandarli a quel paese è forte». Per tante ragioni, una su tutte: «Zanda ha chiesto a Lotti di fare un passo indietro, ma Lotti è un parlamentare, non un ministro. È di una gravità enorme dirgli di uscire provvisoriamente dal partito», attacca. «Ma quando D’Alema ha fatto i comitati per il No al referendum nessuno gli ha chiesto di sospendersi dal Pd. E quando Emiliano lo ha sputtanato? Avete sentito qualcosa?».
Ecco, il clima è questo. Di scontro: aperto e perciò leale. Non una differenza da poco, per i turborenziani. Loro non tramano, parlano chiaro. Non fanno manovre sotterranee, le dichiarano. Come un’insolitamente cauta Maria Elena Boschi, che prima augura buon lavoro a Zingaretti e alla sua squadra, «scelta legittimamente fra quanti lo hanno votato al congresso», poi però contesta che il leader abbia voluto far piazza pulita del passato. «Io non sono il passato, ma nemmeno una donna per tutte le stagioni», replica piccata. «Certo non si può dire che Pinotti o Sereni siano nuove». L’unica stoccata di un lungo discorso rivolto all’indietro, alla stagione gloriosa delle riforme, «portate avanti dopo aver preso il 40% alle Europee pur sapendo che avremmo perso consenso». La nuova alba, per adesso, è una delusione.
«Smettiamola con la subalternità culturale a questo governo», incalza Marattin. «Basta inseguire chi fa propaganda », rincara Bellanova. «Torniamo ai temi dei mille giorni» s’accalora Fregolent. Il meglio, per loro, è alle spalle. «Vi rendente conto? Zingaretti ha messo dentro Giorgis, che ha votato no al referendum costituzionale! » ribolle la chat interna. E infatti «più che una segreteria del Pd, sembra una del Pds», ironizza Ascani. Non regge la tesi diffusa dal Nazareno secondo cui «fu Renzi il primo ad asfaltare le minoranze». Graffia ancora Ascani: «Se Zanda è il futuro mi viene da ridere. Solo un pazzo può pensare di superare il passato recente recuperando il passato remoto». Il Vietnam è ricominciato e non prevede prigionieri.
Carlo Calenda, ostaggio dei due fronti, alza le mani: la sua proposta di formare un governo ombra con tutte le anime dem per dare più forza all’opposizione viene respinta pubblicamente da Giachetti. E lui suona la ritirata: «Mi vergogno di aver chiesto voti per un partito incapace di stare insieme anche mentre il Paese va a ramengo».