Ci sono cose delle quali parliamo come se fossero il futuro, invece hanno già cambiato, molto, la nostra vita. In modo silenzioso, magari. Perché non abbiamo mai visto una catena di montaggio di una fabbrica automobilistica, o la posa di un cavo sottomarino. Eppure i robot sono già tutto questo. E l’Italia, che in tante parti appare sgangherata, è il sesto esportatore mondiale di macchine automatiche, di robot appunto. Che magari non hanno sembianze umanoidi ma svolgono proprio funzioni prima svolte dall’uomo.
Dove non c’è un robot, c’è l’artigianato
Maria Chiara Carrozza, ex Rettore della Scuola Sant’Anna di Pisa, ministro della Ricerca nel governo Letta, ma soprattutto donna di scienza, è tra le 25 donne riconosciute tra le più influenti al mondo nella robotica. «Hanno già profondamente modificato il nostro modo di produrre i beni. Qualunque prodotto di serie è robotica. Silenziosamente hanno rivoluzionato la struttura della produzione».
Dove non c’è un robot, c’è l’artigianato. Si stanno allargando, dal robot-chirurgo, al robot che esplora Marte a quello che lavora nelle profondità marine. Ma adesso è pronto il salto, che in realtà è già cominciato: il loro debutto in società. In casa. Negli ospedali. Sta già accadendo in modo non più soltanto sperimentale. «Questa è una fase nuova nella quale entreranno in contatto con i consumatori, per l’intrattenimento, per la cura della persona, per la compagnia», racconta Carrozza. Potremmo chiamarlo robot-sociale. Che può aiutare persino più di quanto non possa fare un uomo. Sono state ad esempio avviate delle riflessioni dalla Fondazione Don Gnocchi per aiutare i bimbi autistici. «Stiamo vedendo come si possano realizzare terapie cognitive, di gioco, di piacevolezza. Interattive».
Sono frontiere che si muovono rapidamente dove futuro e presente s’incrociano. Secondo la International Federation of robotics si prevede una forte crescita di vendite. Perché il timore della macchina lascia il posto al miglioramento delle condizioni di vita che può offrire. A pensarci bene è stato così da sempre, dalla ruota in poi. Eppure oggi se un ricercatore dovesse mettere un robot a camminare per strada commetterebbe un reato. Non si può. Un tema che chiama dunque la politica a dettare i principi, stabilire i confini ma soprattutto consentire che la ricerca vada avanti. «Siamo una provincia della Cina in termini di dimensioni, ma siamo i sesti esportatori al mondo di robot», sottolinea Carrozza. Molto è accaduto soprattutto per effetto dell’automazione nell’industria automobilistica. Non a caso i principali produttori sono Corea, Giappone, Germania e Italia.
L’alternativa uomo-robot
E qui arriviamo al tema dei temi, alla paura delle paure. Da Frankenstein in poi. L’alternativa uomo-robot. Il robot che si sostituisce all’uomo. «E perché dovremmo averne paura se questo consente a un infermiere di fare uno sforzo minore nel sollevamento di un paziente?», si chiede l’ex ministro. C’è un racconto di colui il quale è considerato uno dei padri, se non il padre, dei robot, Isaac Asimov, che già negli anni Cinquanta si poneva il problema se sia meglio il robot o la mamma in certe situazioni. Il robot capace di affetto. «È evidente che il tema non può porsi in questi termini. Se devo somministrare una terapia e il robot mi aiuta in questo, lo strumento diventa necessario. Non alternativo alla cura delle persone, della famiglia».
Nella cultura giapponese, ad esempio, per privacy si preferisce che sia una macchina a occuparsi delle persone ammalate. «L’obiettivo della macchina, da sempre, è stato quello di alleviare la fatica. Sostenere uno sforzo fisico». Sì, ma poi ci sono i milioni di posti di lavoro che si rischia di perdere, c’è Bill Gates che propone di tassarli. «E allora perché non tassare i software, gli algoritmi?». Una questione mal posta, dunque. Dunque le paure sono ingiustificate: «No. Io ho paura di armi che prendono decisioni autonome. Di robot che decidono chi è il nemico. Di chi potrebbe immaginare di delegare alle macchine la guerra con civili che ne subiscono le conseguenze. Ho paura di delegare decisioni che spettano alla politica. Ma tassare l’innovazione è una misura regressiva».
Il ruolo dell’Italia
Le macchine potrebbero ridurre le disuguaglianze, forse. E qui l’Italia potrebbe giocare un ruolo centrale. «L’approccio italiano in questo campo, dalla bioingegneria alla qualità della vita, potrebbe essere decisivo», spiega Carrozza. Prendiamo il caso degli incidenti mortali sul lavoro: «Preferisco mandare una macchina a pulire una cisterna invece di un uomo che può, come è accaduto, perdere la vita. In Italia abbiamo una cultura di innovazione sociale che bisogna alimentare».
C’è un rischio, però. Le questioni legate alla cybersecurity potrebbero rallentare l’evoluzione dei robot, la sicurezza al riparo dagli hacker è una precondizione per la loro diffusione sociale. In questo la politica è decisiva: «Non si può lasciare al mercato questo aspetto, l’intervento dello Stato è centrale. Un po’ come è accaduto con l’industria 4.0 sotto forma di incentivi. Sul fronte della sicurezza servono le regole». E poi ci sono loro, i ragazzi. Come quelli che si stanno sfidando alla RoboCup organizzata dalla Fondazione Mondo Digitale. «Vedo una vera e propria rinascita degli istituti tecnici, che va valorizzata. La scuola tecnica italiana vale molto di più di quello che si pensa». Un altro effetto dei robot, cancellare qualche luogo comune.
*29 maggio 2018, Corriere Innovazione