La giornata di Giuseppe Pasini, presidente degli industriali bresciani e primo candidato nella corsa per la presidenza di Confindustria, è già complicata di suo: la Feralpi Salò, la squadra di calcio di cui è presidente, serie C, nelle prime sette partite ha messo insieme appena 9 punti, e Pasini ha deciso di cambiare allenatore. La lettura dei giornali, con le anticipazioni della nota di aggiornamento del Def, non ha migliorato l’umore: «È una manovra di tamponamento, per la crescita c’è poco. E non c’è quella proiezione verso il futuro che la nuova rivoluzione industriale, quella della sostenibilità ambientale, richiederebbe. Le aziende manifatturiere faranno la loro parte, ma se il governo non asseconda la trasformazione epocale con una politica industriale mirata dovremo rassegnarci a una crescita piatta e a perdere interi settori dell’economia nazionale».
Manifattura, manifattura e ancora manifattura. Sarà la prima delle sue preoccupazioni anche se vincerà la corsa alla presidenza di Confindustria?
«Brescia è il modello vincente della manifattura italiana che esporta più del 60%. Io rappresento questo modello, non solo perché sono il presidente degli industriali bresciani ma anche perché da quasi 40 anni faccio l’imprenditore siderurgico nell’azienda della mia famiglia, la Feralpi. Ci sono entrato a 20 anni, è stata la mia università».
Lo dice per differenziarsi da Carlo Bonomi, presidente Assolombarda, che pare profilarsi come il suo principale avversario?
«Stimo Bonomi, ma Milano è molto diversa da Brescia. A Milano ci sono culture imprenditoriali diverse: ci sono la finanza, i servizi, il terziario. In ogni caso, oltre a Milano e Brescia, ci sono Bergamo, il Veneto, l’Emilia, il Piemonte: se è vero che il manifatturiero fa crescere l’Italia, allora è giusto che questa cultura sia rappresentata ai massimi livelli».
Si riconosce nella Confindustria di Boccia? La sua è una candidatura di continuità?
«Boccia ha lavorato con generosità rara e si è trovato a gestire una stagione in cui i governi hanno cercato di demolire i corpi intermedi. L’interlocuzione è stata faticosa. E sì, qualche problema c’è stato. In generale ogni presidente cerca di mettere qualcosa di suo: se toccherà a me, proverò anche io».
Per esempio? Anticipi almeno uno dei cardini del progetto che proporrà ai suoi colleghi.
«Vorrei che le imprese ritrovassero il desiderio di sentire Confindustria come la loro casa, vorrei riaccendere questo spirito, riavvicinare le grandi imprese che sono uscite o si sono un po’ disamorate».
Pasini, Bonomi e…? Ci saranno altri candidati?
«Immagino che possa esserci anche qualche altro nome e non lo vedo come un problema, anzi. Bello che ci siano diversi imprenditori disposti a mettersi in gioco».
La vicenda del Sole 24 Ore è stata una spina per gli ultimi presidenti. Se lei fosse il prossimo, il giornale resterebbe uno degli asset di Confindustria o lo cederebbe?
«Un giornale che dà voce al mondo delle imprese è un asset importante, io non lo venderei».
Ha visto i numeri del Def?
«Mi aspettavo di più, dopo il disastro del precedente governo. Peccato, era bastato l’annuncio di questo nuovo esecutivo per ripristinare un clima collaborativo con l’Europa».
Il primo obiettivo era la sterilizzazione dell’Iva e voi imprenditori vi siete spesi perché fosse garantito. Non è contento?
«L’aumento dell’Iva avrebbe avuto effetti pesanti. Ma la manovra accresce il deficit e alcune entrate, il recupero dell’evasione o le privatizzazioni, sono auspici tutti da concretizzare. Poco per la crescita, tutto sul fronte dei consumi».
Insomma, nulla per le imprese.
«Vediamo dove il governo metterà i soldi di Industria 4.0. Ma la questione vera è il progetto per il futuro dell’Italia. Il governo parla di Green New Deal ed è la direzione giusta, ma se vogliamo dimezzare le emissioni e accompagnare la transizione di interi settori verso la sostenibilità, bisogna che le politiche del governo supportino questa trasformazione».
Di cosa avete bisogno?
«Le aziende manifatturiere dovranno rivoluzionare pratiche, processi, prodotti. Hanno bisogno, già oggi, di livelli professionali più alti e qualificati. Se la Germania sforna 800 mila ingegneri e tecnici all’anno e l’Italia soltanto 10 mila la sfida è persa in partenza. Bisogna investire su scuola, Its, università, ricerca. E sulle infrastrutture: quello che abbiamo sono inadeguate».
Il governo è in carica da poche settimane…
«Sì ma dobbiamo muoverci subito, se abbiamo a cuore il futuro del Paese».