Non saranno forse le prossime elezioni a decretare la fine dell’egemonia delle grandi famiglie politiche in Europa. Ma per loro, il voto di maggio rappresenta l’ultima possibilità di formulare, stando al governo, una diversa prospettiva di Europa che non venga percepita come conservazione del vecchio. È questa la riflessione emersa da una ricerca di SWG e Kratesis sulle intenzioni di voto di sei Paesi europei (Italia, Germania, Austria, Francia, Polonia e Spagna), presentata ieri al Centro Studi Americani e commentata da Frans Timmermans, candidato del Partito socialista europeo alla presidenza Ue, e dal direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana.
La ricerca tratteggia tre possibili scenari di governo europeo. Il primo vede il Partito popolare europeo allearsi con il Pse e i liberaldemocratici, con 416 seggi su 705 (maggioranza che reggerebbe anche all’espulsione dal Ppe dell’ungherese Viktor Orbán); la seconda ipotesi accosta al Ppe e al Pse, i Verdi, con 366 seggi complessivi. L’ultima azzarda un rassemblement tra Ppe e i tre gruppi sovranisti/populisti, con 334 seggi, 19 in meno della necessaria maggioranza. «Mi sembra che Antonio Tajani ci stia lavorando con Salvini — commenta Timmermans —. Da socialista dico che non accetterò mai l’appoggio dell’estrema destra per avere una maggioranza».
Schermaglie che nascondono il timore che i partiti populisti/sovranisti possano comunque cogliere un risultato tale da riuscire a condizionare le politiche europee. «Terrei conto della grande indecisione degli elettori. Questa volta più che mai la campagna elettorale sarà dirimente» osserva Timmermans. Come dimostra la ricerca, svolta in collaborazione con altri istituti europei, quando rivela che tra le emozioni degli elettori prevale «la negatività». Un pessimismo che in alcuni Paesi, come la Francia, individua il proprio strumento di cambiamento nella «rivoluzione», vedi i «gilet gialli». La chiusura nei confronti dei migranti emerge ovunque: meno in Spagna e in Italia, più in Austria e Polonia. Lo slogan «prima noi» convince il 50% dei sondati in tutti i Paesi, meno la Spagna. La contrapposizione tra popolo ed élite è vissuta da più del 60% degli intervistati in tutti i Paesi, tranne la Polonia. «È la rappresentazione della sconfitta delle classi dirigenti e del liberismo che ritiene che dare ai ricchi avvantaggi anche i poveri» spiega Enzo Risso di Swg. L’europeismo sopravvive, più in Spagna e in Italia che in Francia e in Polonia. «Ma di uscire dall’Europa non se ne parla più — chiosa il direttore Fontana —. Anche se siamo lontani dal trasformare lo slogan “prima gli italiani” in “prima gli europei”». La ricerca evidenzia come in Italia l’attuale situazione politica sia figlia della forte delusione di un ceto medio che si è andato assottigliando e di un forte risentimento verso la classe dirigente. «Prova ne è il fallimento del referendum costituzionale che non era la risposta alla crisi percepita dalla gente» aggiunge Fontana. «La sinistra deve riprendersi i temi del lavoro e del sociale» incalza Timmermans. Dal sondaggio sulle intenzioni di voto nei sei Paesi emerge una Germania con una Cdu che tiene e si sposta verso sinistra, lasciando spazio all’ultradestra, e un Spd in calo. In Austria il partito di Kurtz regge. In Polonia la sfida è tra il partito nazionalista di governo e la coalizione europeista. In Spagna, alle elezioni nazionali di aprile, calano i popolari mentre il Psoe sale, come i nazionalisti di Vox, in reazione all’autonomismo catalano. In Francia Macron e Le Pen sono testa a testa, davanti a una miriade di partiti. In Italia il raddoppio della Lega rispetto alle politiche 2018 e la perdita di quasi un terzo dei voti del M5S conferma che il voto europeo peserà sul governo.