Un gruppo di ricercatori ha coniato il termine «costituti- va» per definire la funzione che la comunicazione ricopre oggi nelle imprese. Costitutivo è quel qualcosa che forma e che diviene parte essenziale di qualcos’altro. Costitutivo evoca il ruolo generativo e strategico che la comunicazione gioca oggi nelle imprese. Immaginate di avere una pila di mattoni, una somma di denaro su un conto corrente bancario, un gruppo di persone che sono volonterose e lavorano per voi, scrivanie e computer, edifici e magazzini. Avete creato un’impresa? No. Un’impresa nasce anche quando flussi ripetitivi di informazioni scorrono per consentire una adeguata divisione del lavoro, una appropriata specializzazione delle competenze, il coordinamento delle persone verso un unico scopo, una cultura condivisa. E questo ancora non basta. Anche la comunicazione esterna esercita la propria funzione costitutiva per le imprese. Per capire come, facciamo un passo indietro nel tempo.
A lungo la comunicazione esterna è stata intesa come sinonimo di propaganda. E chi ne faceva uso raramente si preoccupa- va che i contenuti comunicati corrispondessero alla realtà dei fatti. Non a caso il docente titolare della prima cattedra universitaria di comunicazione d’impresa alla New York University nel 1922, Edward Bernays, era nipote di Freud e applicava gli insegnamenti dello zio. Per la comunicazione d’impresa è arduo scrollarsi di dosso le proprie origini. La storia delle origini condiziona ancora oggi le opinioni sulla legittima funzione della comunicazione nelle imprese e sulla serietà dei professionisti che se ne occupano. Non a caso, proprio questi professionisti si sono guadagnati negli anni gli appellativi di persuasori occulti, come li definì Vance Packard, o di spin doctor, letteralmente manipolatori di notizie e parole. Con l’aggravante che purtroppo ancora oggi le pratiche professionali di alcuni comunicatori sembrano rafforzare, anziché smentire, queste convinzioni.
Uno scambio di valori
Febbraio 2013. Un aereo di una nota compagnia di bandiera finisce fuori pista per il maltempo. Anziché informare dell’accaduto, spiegare e rassicurare sulle condizioni dei passeggeri, l’impresa si affretta a cancellare i simboli della livrea dall’aero- mobile. Peccato che fosse troppo tardi. La notizia era già circo- lata. E alla domanda perché avesse cercato di occultare la sua identità, l’impresa pare abbia risposto che erano stati motivi di decoro aziendale a imporlo. Ebbene, oggi le coordinate del de- coro aziendale sono cambiate. La comunicazione d’impresa è figlia del proprio tempo, la sua centralità, che cosa funziona e che cosa no, sono espressione dei valori dominanti nella società in cui l’azienda è immersa.
Questo implica che per esercitare la propria funzione costitutiva nelle imprese anche all’esterno, la comunicazione oggi de- ve partire da due presupposti. Il primo è che le imprese opera-
no in un ecosistema di relazioni con sostenitori e detrattori che proliferano e modificano i reciproci rapporti di forza a ritmi incalzanti. La comunicazione deve aiutare le imprese non più solo a gestire messaggi e canali, ma a sviluppare e governare le reti di relazioni nell’ecosistema.
D’altro canto il valore dei prodotti e dei servizi che le aziende offrono nasce da un contratto sociale continuamente rinnova- to con l’ecosistema di riferimento. È questo «contratto sociale» che ha fatto fallire il progetto di Coca Cola, negli anni Ottanta, di cambiare la formula segreta della propria bevanda per andare incontro ai gusti delle nuove generazioni e contrastare la concorrenza. La nuova formula sembrava piacere, ma il problema era che Coca Cola era venuta meno al contratto sociale con il popolo americano. Un contratto sociale che poggiava il valore del brand su valori e significati, come il patriottismo e la nostalgia del passato, co-costruiti nel tempo tra l’azienda e i suoi consumatori. La comunicazione è parte costitutiva dell’impresa se la aiuta ad autodefinirsi come un attore nel quale l’ecosistema sociale ha fiducia e con il quale rinnova quel contratto foriero di valore e di valori.
Il secondo presupposto, che a tratti può sembrare paradossa- le, è quello che la comunicazione per essere strategica debba occuparsi sempre meno di percezioni e preoccuparsi sempre più di incidere sulla realtà. L’ecosistema sociale di cui abbiamo parlato poc’anzi esprime bisogni di autenticità, di trasparenza radicale, di responsabilità ambientale e sociale. Alle aziende non è solo chiesto di soddisfare i bisogni dei propri clienti, ma di farsi carico dei problemi della società e dello sviluppo olisti- co delle comunità in cui operano.
Un approccio che in Italia affonda le sue radici negli straordinari esperimenti sociali di imprenditori illuminati come Adriano Olivetti ed Enrico Mattei. È questo il motivo per il quale i comportamenti scorretti delle imprese vengono oggi puniti senza attenuanti. È questo il contesto nel quale addirittura i colossi dell’industria del tabacco oggi iniziano a prefigurare un futuro senza fumo. Quegli stessi colossi che a metà del secolo scorso utilizzavano le leve della comunicazione per promuove- re i vantaggi del fumo in gravidanza perché nascevano bambini più snelli. Ecco che la comunicazione è parte costitutiva del- l’impresa se la aiuta a sviluppare una reputazione solida e positiva. E la reputazione presuppone responsabilità, qualità, cura della coerenza dei comportamenti nel tempo e affidabilità.
Le imprese più competitive e all’avanguardia oggi hanno già compreso che la comunicazione è un supporto strategico, una leva del business, una parte costitutiva essenziale dell’impresa. Ma questo è vero se, e solo se, il fare comunicazione è ispirato da senso di responsabilità, trasparenza e governo autentico delle relazioni con l’ecosistema sociale di riferimento.
L’Economia 15 marzo 2019