Ci sono eventi che segnano un passaggio significativo, se non una vera frattura, rispetto al passato. Recente e (più) lontano. Le elezioni del 2013 possono essere considerate tali.
Quelle del 4 marzo 2018 si sono spinte oltre. (…) Alla ricerca di “precedenti” che possano dare senso storico a quel voto, si sentono richiamare le elezioni politiche del 1976. Fino ad allora, la Dc aveva governato senza alternative e senza avversari, durante il dopoguerra. Ma in quella consultazione il suo primato venne insidiato dal Pci. Che ottenne oltre il 34% dei voti: sette punti in più delle precedenti elezioni. Solo quattro punti meno della Dc, che mantenne, comunque, il primato.
(…) Il paragone è improprio. Perché il Pci era, comunque, un partito ben consolidato. Con una tradizione storica importante.
Inoltre, il partito che, fino ad allora, aveva costituito il centro del sistema politico e della democrazia in Italia, nel corso della storia repubblicana, governò ancora, dopo il voto.
Ben diverso appare il quadro tracciato dal voto del 4 marzo.
Quando si è consolidato un partito, il M5s, che ha una biografia breve, una storia recente. E si è caratterizzato per una proposta politica anti-sistema. (…) Tuttavia, il richiamo all’ultima fase degli anni Settanta non è fuori luogo. In particolare, ci pare utile fare riferimento alle riflessioni di Aldo Moro. (…) Le suggestioni del linguaggio dello statista democristiano, oltre alla lezione offerta dalla sua vita (e dalla sua morte), restano vive. Il “compromesso storico”, gli “equilibri più avanzati”. Infine: le “convergenze parallele”. Sono formule paradossali, in alcuni casi veri “ossimori”. Utili, però, a illustrare i paradossi della politica, che rende possibile, nella pratica e nella realtà, anche ciò che nella logica potrebbe apparire impossibile. Le “convergenze parallele”, in particolare. (…) Per questo oggi l’ossimoro coniato e “sperimentato” da Aldo Moro – ma Eugenio Scalfari lo aveva “inventato” e usato, sull’Espresso, nel 1960 – sembra adatto a illustrare quanto sta avvenendo. Al posto di “convergenze parallele”, oggi conviene evocare le “divergenze parallele”. Per definire i percorsi di soggetti politici – leader e partiti – costretti a procedere insieme e nella stessa direzione da emergenze esterne, oppure da necessità interne. Per quanto divisi e lontani.
Orientati verso destinazioni divergenti. (…) Le “divergenze parallele”: la metafora che meglio di altre sembra in grado di rappresentare l’Italia – o, meglio, la politica italiana – di oggi.
Prima, durante e dopo le elezioni politiche di marzo. Che si sono svolte nel segno delle divergenze.
Fra il vecchio e il nuovo. Il popolo e l’establishment. Nazionale, europeo e globale. «Nulla di nuovo», si potrebbe dire, «nella rivendicazione del nuovo». (…) In questo caso, alle elezioni del 4 marzo 2018, il Nuovo che avanza si scontra con i vecchi leader e i vecchi partiti che, comunque, avevano governato fino ad allora. Simbolo del Nuovo, prima e più di tutti: il M5s. Per definizione, “altro”.
Diverso. Divergente. Privo di riferimenti e di fondamenti storici e culturali specifici, perché ispirato dalla “divergenza” rispetto ai riferimenti e ai fondamenti storici e culturali dominanti. Contro il principio della democrazia rappresentativa. Così alle elezioni ha sfondato. Dovunque, ma soprattutto nelle regioni meridionali. Ha superato il 32%, a livello nazionale. L’altro veicolo del Nuovo è un soggetto politico molto meno nuovo. Ma comunque profondamente cambiato, a sua volta. Rinnovato. La Lega di Salvini (LdS). Altra da sé, oltre che dagli “altri”. Perché Salvini si è posto in posizione divergente da tutti i riferimenti dominanti. In Italia: partiti e leader. In Europa: l’Unione Europea e l’euro. (…) La Lega di Salvini ha proceduto, marciato: contro tutti. Gli altri. Ma anche contro i suoi. Così alle elezioni ha ottenuto un risultato inatteso.
Quasi il 18%. La Lega di Salvini si è spinta dal Nord verso il Centro. Ha espugnato i territori della sinistra.
Ha marciato verso Roma. Incontro all’Italia di Beppe Grillo e Luigi Di Maio. Tuttavia, i loro ambienti sono “divergenti”.
Il territorio. La Lega insediata non più solo nel Nord, ma, comunque, a Centro-Nord. Il M5s senza avversari nel Centro-Sud.
La base sociale. La Lega forte soprattutto fra i lavoratori autonomi e i dipendenti del privato. Il M5s fra i ceti medi del pubblico.
Ma soprattutto fra i “perdenti”. I disoccupati e i precari. Ancora, sul piano generazionale. La Lega è sostenuta in particolare dagli adulti. Il M5s dai più giovani e, in particolare, dai giovani-adulti. I loro elettori, dunque, appaiono “divergenti”, ma, per questo, sono “complementari”. Anche perché condividono la “divergenza” rispetto ai centri del sistema politico tradizionale. In particolare, il M5s, che è nato come Movimento, appunto, per i diritti civili e per la difesa dell’ambiente, del territorio.
È sorto contro i luoghi, gli attori e i linguaggi della politica tradizionale. (…) La Lega. Un tempo, movimento di indipendenza del Nord. Poi, sempre più, di indipendenza dall’Europa e dall’euro. Sempre più a destra.
Come il Front National di Marine Le Pen. E oggi come i neopopulisti della nuova Europa post-sovietica.
Come l’Ungheria di Viktor Orbán.
La Lega: a difesa e a sostegno dei muri.
Due soggetti e due identità divergenti. Eppure paralleli. Non per caso i loro elettori mostrano, in misura rilevante, reciproca confidenza. Reciproca fiducia.
Lega e M5s viaggiano e muovono nella stessa direzione. Perché “divergono” da nemici comuni. (…) In questo modo, Lega e M5s si sono trovati e si trovano vicini. Uno accanto all’altro. Anche senza incrociare i loro percorsi, le loro identità. In fondo, l’epoca del “voto devoto”, fondato sull’ideologia e l’appartenenza di partito, è finita da tempo (Bellucci e Segatti 2010). Ora prevale il “voto tattico”, strumentale, dettato da ragioni personali, locali, di categoria.
Insomma, per riprendere le teorie e il linguaggio di Zygmunt Bauman, il “voto liquido”. Il problema, come si è già detto, è che possono co-esistere, ma non co-abitare (a lungo). Né con-dividere. Perché, per entrambi, è più importante dividere. Le “divergenze parallele”, così, permettono a Lega e M5s un orientamento “parallelo”. Nella stessa direzione. Senza bisogno di incontrarsi.
*Anticipazione del libro “Le divergenze parallele” di Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini e Ilvo Diamanti (Laterza, pagg. 264, euro 15)