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Paola De Micheli è nella stanza del ministro delle Infrastrutture da tre ore. Apre un fascicolo giallo. È la lista delle richieste di incontri depositate in segreteria. Le conta: 256. Sorride. Durante l’intervista si forma la fila dei dirigenti che attendono di vederla: altre dieci persone. Il televisore manda le immagini del giuramento del mattino con la famiglia venuta da Piacenza, dove lei torna il week-end. «Questo ufficio è più grande dell’appartamento che divido con Pietro qui a Roma». Pietro è il figlio, ha tre anni e mezzo, sta per iniziare la scuola materna. Corre su e giù, si nasconde sotto l’enorme scrivania. «Vorrei attrezzare uno spazio per farlo stare qui il pomeriggio. Non ho fatto un figlio perché lo cresca qualcun altro». Annuncia il no alla politica dei porti chiusi: «Uno slogan senza senso per nascondere la verità». Non ha ancora fatto il passaggio di consegne con Danilo Toninelli, ammette di essere a una distanza siderale dal suo approccio, non invece dai Cinque Stelle: «Se andiamo avanti così potremo fare assieme molte cose buone per il Paese».
Lei è uno dei pochi ministri del Nord in questo governo. È stato un caso?
«È un caso che ci siano complessivamente più persone del Sud, ma considero la mia presenza qui come un preciso segnale al Nord. In questo ministero si gestisce un pezzo importante del futuro dell’Italia».
Non è un regalo alle ragioni della Lega?
«La Lega in quattordici mesi non ha risolto un problema. Al massimo li ha ingigantiti: infrastrutture, fisco, autonomia».
Beh, un problema al Nord l’ha risolto, anche se con il vostro aiuto e contro la volontà del nuovo alleato: la Tav Torino-Lione. Non è così?
«Come è andata quella vicenda è noto a tutti. Ora l’opera deve procedere il più rapidamente possibile».
Una delle accuse al suo predecessore era quella di bloccare ogni dossier. Lo farà anche lei?
«Da commissario alla ricostruzione post-sisma ho visto da vicino quanto sia difficile tenere insieme efficienza e qualità delle opere pubbliche. Ciò detto qui ostacoli politici ai cantieri non ce ne saranno più».
È contraria anche a rivedere il progetto della Gronda di Genova?
«Sono contraria alla cosiddetta mini-Gronda, perché significherebbe perdere almeno altri sei anni attorno ad un progetto pronto. Non vedo problemi tecnici insuperabili, anche se quel dossier rientra nel tema più generale della revisione delle concessioni».
Non ci sarà dunque nessuna revoca della concessione ad Autostrade, come promettevano i Cinque Stelle?
«Nel programma di governo c’è scritta una parola precisa e molto diversa: revisione. Dobbiamo rafforzare gli investimenti, la sicurezza e ridurre i costi per gli utenti».
Ponte Morandi verrà ricostruito nei tempi previsti?
«Sarò presto a Genova per rendermi conto di persona della situazione. Garantiremo tutto il supporto necessario per concludere l’opera e per il sostegno alle persone che hanno avuto danni».
E quando risolverete la crisi di Alitalia? Siamo alla sesta proroga, l’azienda perde un milione al giorno e a breve finiranno anche i soldi del prestito-ponte.
«Il caso è soprattutto nelle mani del collega Stefano Patuanelli. Lui sa che può contare sul mio sostegno perché Alitalia abbia un socio del settore con una quota significativa. Penso poi che l’impegno di Ferrovie in Alitalia non la debba indebolire e distrarre dal suo lavoro, che è quello di garantire un servizio sicuro e di qualità per i viaggiatori e i pendolari».
Ci dica una priorità del ministro De Micheli.
«La casa e la rigenerazione urbana delle periferie. Vediamo quanto si può stanziare in Finanziaria per queste due voci».
Abbiamo capito che sulle infrastrutture l’aria è cambiata. A giudicare dal primo atto del suo collega Boccia devo supporre che andrà così anche sul tema immigrazione. È così?
«I decreti sicurezza dovranno cambiare: ce lo impongono due lettere del presidente della Repubblica. E sono sicura che l’Europa tornerà a fare la sua parte».
Cosa la rende così ottimista?
«A Bruxelles non c’era contezza della gravità della situazione. Con il passare dei mesi si è capito che quella disattenzione ha alimentato i populismi, in Italia e non. La Commissione Von der Leyen avrà un atteggiamento diverso».
Se la sente di ammettere che il disastro libico è anche figlio dell’accordo voluto da Minniti e firmato da Gentiloni?
«No. Il problema è che la situazione in Libia è andata peggiorando, e quindi quell’accordo va rivisto».
Però è finita l’era dei porti chiusi. È così?
«Quella dei porti chiusi è stata una narrazione distorta della realtà, utile solo alla propaganda di Salvini. Uno slogan senza senso che serviva solo a nascondere la verità: l’ottanta per cento dei migranti approda su piccole barche di cui non si accorge nessuno».
Per quanto tempo pensa di restare in questa stanza?
«Se il clima nel governo resterà quello che ho respirato stamattina in Consiglio dei ministri, a lungo. Se andiamo avanti così potremo fare assieme molte cose buone per il Paese».
*La Stampa, 6 settembre 2019