Palomar è ognuno di noi. Di fronte allo scenario, piccolo o grande che sia, Palomar osserva, scruta, definisce l’immagine. È ognuno di noi perché il suo approccio è quello del piccolo borghese che di fronte alla vita la guarda come se nessuno mai prima avesse avuto la capacità di descriverla. Come se i millenni di storia fossero inutili a spiegare i diversi accadimenti.
Lui non conosce il passato erudito e per questo tenta di capire solo mettendosi di fronte, di lato, di sbieco. Si muove con uno schema – la circospezione – ma senza la sovrastruttura. Eccolo Palomar che entra in macelleria, nella formaggeria, allo zoo… Palomar è un uomo contemporaneo e allo stesso tempo antico. Capisce che il mondo sta cambiando e cerca l’essenziale sulla superficie. Sembra un paradosso, non lo è. A Palomar interessa solo la crosta, la parte esterna delle cose.
Quello di Italo Calvino è un libro aritmetico, speculativo che non cerca di salvare il mondo: vuole solo capire perché il suo personale mondo riesce a salvarlo. Ogni tanto bisogna concedersi la rilettura di Palomar e dei suoi 27 racconti. Lui – il libro – è, a tutti gli effetti, un telescopio (a cui si rifà il titolo), non ha nulla del microscopio: tu lo punti su quello che stai vivendo, lui offre la visione.