«Tensioni e prove trovano nel quadro delle istituzioni repubblicane piena possibilità di espressione e composizione, in una nazione unita e solidale». Sono le prime parole di Sergio Mattarella dopo la soluzione della crisi. Le ha scritte qualche giorno fa, ma ieri le ha fatte “lanciare” ai prefetti e alle agenzie di stampa, dunque rispecchiano le sue aspettative al termine di tre mesi d’intossicazione generale. Di «tensioni e prove», appunto, che erano degenerate fino a minacciare persino il compleanno della Repubblica oltre che l’impeachment contro di lui.
Certo: le forze che hanno espugnato Palazzo Chigi rivendicano la discontinuità del proprio governo. La dà anche lui per scontata. Ma vorrebbe che, nel proporsi come diversi, i leader svestissero i panni di Capitan Fracassa, cominciando dal modo di comunicare. Perciò la si smetta con il mantra vittimistico e recriminatorio della campagna elettorale. Quando con toni asfissianti si denunciavano complotti per far fallire l’esperimento da parte delle alte sfere dell’Ue, nemica del Paese, e del nostro establishment, altrettanto ostile. Stop alla guerra di tutti contro tutti, insomma. Perché adesso il cosiddetto establishment lo incarnano loro.
È una richiesta trasparente e forte al pari di altri messaggi più nascosti. Per esempio quello in cui il presidente ricorda che «va arrestato con fermezza ogni rischio di regressione civile, affermando un costume di reciproco rispetto e mettendo a frutto le grandi risorse di generosità e dinamismo dei nostri concittadini». E quello in cui evoca «il bene della coesione sociale», che «si consolida con le scelte di corresponsabilità e di cittadinanza attiva che ciascuno è chiamato a operare».
Due passaggi nei quali risuonano gli ultimi attacchi polemici risuonati dall’Italia contro Bruxelles e ricambiati con gli interessi da Bruxelles (e da Berlino). Ecco gli effetti regressivi del sovranismo esacerbato ed ecco il senso di Stato-comunità cui Mattarella è ancorato. Non basta. C’è dell’altro nella riflessione del capo dello Stato. Un avvertimento, quando accenna al «fenomeno delle migrazioni», su cui raccomanda un impegno «in grado di garantire legalità, accoglienza e integrazione». Frase rivolta a Matteo Salvini, il quale sui migranti ha promesso battaglia. Anche il Quirinale pone la legalità al primo posto. Purché non sfoci in una spietata disumanità. Un memorandum che sottintende la promessa di una vigilanza sul governo, atto per atto. «La cornice delle istituzioni repubblicane ha sempre dimostrato di consentire all’Italia di affrontare sfide impegnative. Lo stesso confronto politico si è sempre tradotto nell’attitudine a non ridursi a un conflitto fine a se stesso».