In una giornata di Borsa incolore i BTp sono tornati ieri pesantemente sotto pressione. Tutto è successo nell’ultima ora e mezza di contrattazioni quando gli investitori, che fino a quel momento non avevano dato troppa attenzione ai governativi italiani trattandoli alla stregua degli altri titoli dell’Eurozona, hanno iniziato a vendere provocando una brusca impennata di rendimenti e spread. Le oscillazioni, con ogni probabilità favorite dalla ridotta liquidità che spesso caratterizza le ultime ore di scambi, sono state talmente sostenute che il tasso a 10 anni, fino ad allora stabile l’1,32 e l’1,34%, ha registrato una fiammata fino a quota 1,42 per cento. Una quotazione che ha riportato lo spread sui massimi da agosto: a 177 punti secondo la rilevazione Reuters. Numeri più bassi per Bloomberg che, prendendo come riferimento un titolo con scadenza più ravvicinata, ha rilevato uno differenziale a 169 punti. Ma la dinamica è la stessa perché i tassi ieri sono saliti su tutti i governativi italiani indipendentemente dalla scadenza.
Cosa ha innescato tutta questa volatilità? A giudicare dalla tempistica pare evidente la correlazione con la cronaca della crisi dell’Ilva. Le vendite sono scattate infatti quando gli investitori hanno digerito la notizia, battuta dalle agenzie pochi minuti prima delle 16, del piano di chiusura degli altiforni (vedi articolo in pagina). L’improvviso aggravarsi della crisi dell’Ilva è una notizia che ha un impatto sul mercato dei titoli di Stato perché gli investitori temono che possa mettere a rischio la tenuta stessa della maggioranza. Specialmente se dovesse andare di pari passo con una sconfitta dei partiti di governo alle elezioni regionali in Emilia Romagna in programma per il prossimo 26 gennaio. Non è insomma la crisi industriale in sè ad impattare sui BTp quanto le possibili conseguenze che potrebbe avere sulla maggioranza. Se si tornasse a votare a breve gli investitori scontano un’affermazione di un centrodestra guidato da Matteo Salvini. Uno scenario visto negativamente dagli investitori per via dell’euroscetticismo di cui ha dato prova il leader leghista.
L’ondata di vendite sui BTp non è un fulmine a ciel sereno. Da tempo ormai si sta assistendo a un’inversione di rotta. Dopo un’estate di forti acquisti (prima sulla scommessa del rilancio del Quantitative easing della Bce e poi sull’uscita della Lega dalla maggioranza di governo), il mercato è tornato a vendere i governativi italiani. Si tratta di un fenomeno che riguarda l’intero mercato del reddito fisso: dopo la corsa messa registrata da inizio anno sui bond sono scattate le prese di profitto. Anche perché, con il disgelo Usa-Cina sui dazi, sono migliorate le aspettative sull’economia e gli investitori hanno ridimensionato le attese sulla politica monetaria espansiva delle banche centrali. Nel caso dei BTp ha pesato il fattore politico ma anche il dibattito sull’unione bancaria. Le recenti aperture da parte della Germania alla garanzia comune sui depositi infatti sono arrivate con una condizione: le banche devono ridurre la loro esposizione in titoli di Stato. Un rischio per l’Italia visto il peso del debito sovrano nei bilanci degli istituti è nettamente superiore a quanto avviene nel resto dell’Eurozona.