L’agenda è intricata. Ma quello di oggi si annuncia come il giorno della verità. Quello in cui le opinioni sul tema dell’Europa, della possibile procedura d’infrazione e sui conti pubblici da tenere a bada troveranno il punto di sintesi. O di rottura. Di buon mattino, alle 8, il premier ha convocato i suoi vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il ministro all’Economia Giovanni Tria. Con i leader di governo ci saranno anche i tecnici del Mef, che il presidente del Consiglio ha esplicitamente voluto al tavolo. Per far presente ai leghisti che, senza tagli alla spesa, grandi margini di manovra non ce ne sono. E allora «se Salvini vuole la flat tax deve anche assumersi la responsabilità di dire dove trova i soldi, con quali coperture, perché in deficit non si può fare, c’è poco spazio di manovra», dicono all’unisono a Palazzo Chigi, interpretando la posizione del premier.
Per Conte, lo ha detto ieri, «la campagna elettorale è finita», e questo vuol dire che è anche finito il tempo delle promesse vaghe o poco definite. Claudio Borghi ribatte che il piano della Lega «è dettagliatissimo e consentirà di lasciare nelle tasche degli italiani 10 miliardi in più. Netti. Al netto, cioè, del taglio delle detrazioni, degli sconti fiscali e magari anche degli 80 euro» renziani.
Resta il fatto che, secondo il premier, per attuare una fase due e diminuire la pressione fiscale occorre che i due vicepremier la smettano di sbandierare propositi irrealizzabili, ma si concentrino appunto con i tecnici del Mef, dunque anche con chi dirige la Ragioneria, sulle coperture della prossima finanziaria. Un atteggiamento condiviso da Giovanni Tria. Anche se dal suo staff si ribadisce che quello della flat tax è un dossier che va impostato in anticipo, ma che al momento non è una priorità: lo diventerà in autunno, con la legge di Bilancio, ma per il momento gli sforzi sono concentrati sull’evitare la procedura di infrazione.
Il punto vero di oggi è tutto lì. Perché Salvini sull’abbassamento delle tasse chiede chiarezza e «non ha nessuna intenzione di farsi fregare», osserva un leghista di prima caratura: «Matteo sa bene che rischia di farsi trascinare nella palude. Quello che non vuole sono rassicurazioni di massima, il “non gridare che poi la flat tax la facciamo” per scoprire a settembre che nessuno ne ha l’intenzione». Certo, a quel punto sì la caduta del governo sarebbe inevitabile e, in ottica leghista, augurabilissima: «Si formerebbe un governo di responsabili con i tanti che non vogliono andare al voto. Molto meglio, a quel punto, starsene all’opposizione facendo fuoco contro chi non ci ha fatto fare la manovra per gli italiani». Da notare che tra i leghisti, a dispetto della risposta brusca di Salvini al capo dello Stato sulla necessità di assicurare la solidità dei conti, c’è comunque «massima fiducia in Mattarella. Siamo convinti che opterà per la soluzione più lineare».
In ogni caso, l’esigenza di evitare una procedura di infrazione più realistica dello scorso anno, su cui ci sono infinite pressioni da parte di alcuni governi, è reale. Conte punta a convincere Francia, Spagna e anche Germania, una linea di clemenza potrebbe essere strappata già al Consiglio europeo di domani e venerdì. Di certo, Conte andrà a Bruxelles cercando una sponda nei capi di Stato e di governo anche di Paesi relativamente piccoli, ma influenti perché presenti in sede Ecofin, da Malta al Portogallo.
Ma ieri è stato anche il giorno della (quasi) incoronazione di Giancarlo Giorgetti a possibile commissario Ue. Matteo Salvini, di ritorno da Washington, è andato all’assemblea di Confartigianato. Per dire, tra l’altro, che il futuro commissario italiano «se è tra noi magari tornerà l’anno prossimo con i compiti svolti». Il fatto che fosse presente anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio non poteva passare inosservato. Ma lui, Giorgetti, svicola: «C’era tanta gente in sala…».