«A Fabrica faremo apparire la Madonna come a Lourdes. Ve la immaginate la Madonna che arriva sorridente in blue jeans, finalmente la moglie di Giuseppe, l’amante di Dio, che ride un po’. E farebbe vendere anche i vestiti».
Provocatorio, istrionico, irriverente, controcorrente, ironico, Oliviero Toscani non si smentisce. Il piglio deciso del celebre fotografo lascia spazio all’emozione della nuova sfida che lo ha riportato a Treviso, dopo quasi vent’anni, per ristrutturare Fabrica, il cuore creativo di Benetton. Un nuovo corso per rinsaldare il legame tra l’azienda di Ponzano e la fucina di Villorba, che sarà presentato venerdì, insieme a Luciano Benetton, in occasione di un grande evento pubblico. «Dobbiamo trasformare Fabrica nel posto dove bisogna andare: the place. Sono molto eccitato, è tutto da fare ma le idee sono chiare» aggiunge Oliviero Toscani.
Come diventerà la nuova Fabrica? «Sarà un campo di concentramento culturale, non un’accademia accademica, bensì un posto di concentrazione della cultura, che accorpa la conoscenza artigianale e quella intellettuale, mettendo insieme persone e cervelli. Insieme a Luciano ci avevamo già pensato tre anni fa, ma la cosa non andò in porto».
Per quale ragione? «Adesso è facile dire che c’è bisogno, ma allora magari si sbagliava, per questo abbiamo soprasseduto. Luciano è una persona sensibile, con un grande senso della giustizia, si è reso conto che in Benetton c’era una situazione di infelicità, ha deciso di intervenire per il riconoscimento dell’azienda, forse non vuole che muoia. Bisogna dargli atto di essere un coraggioso».
Al progetto partecipa anche la Croce Rossa, come si svilupperà la collaborazione? «Sarà un qualcosa di unico nel suo genere, di cui i trevigiani dovrebbero essere fieri. Non esiste un’altra marca mondiale oltre a Benetton che potrebbe essere abbinata alla Croce Rossa. Quest’ultima ci terrà informati sui movimenti “tellurici territoriali”, andremo a prendere i giovani migranti di talento dotati del coraggio che manca ai nostri figli di papà e di mamma, bocconiani con il telefonino sempre in mano. Attenzione, sono migranti tutti quelli che non sono qui, non andremo a cercare solo i migranti più ovvi. L’integrazione è un territorio vasto. Affronteremo la questione con l’aiuto dell’arte».
Venerdì sera a palazzo Strozzi di Firenze è stata inaugurata la mostra fotografica “Non fate i bravi”, una retrospettiva delle campagne pubblicitarie Benetton con bambini dai cinque continenti. Un messaggio multietnico: se ne discuteva in passato, e se ne parla ancora, visto che la parola razza ha acceso la campagna elettorale in corso. «Tra qualche anno i bambini neri che arrivano dall’Africa saranno diventati avvocati, medici, ingegneri, giornalisti. Si raduneranno perché ormai apparterranno alla società, e si ricorderanno di come abbiamo trattato i loro genitori, facendoli morire in mare, e di come parlavano Salvini, Fontana e tutta questa gente qua. Quei bambini avranno il potere e organizzeranno un processo di Norimberga alle democrazie, non più al nazismo, per come si sono comportate nel 2000. Io non sarò sul banco degli imputati, sarò un testimone e darò loro ragione. Questo per far capire che ci sarà una resa dei conti. Non siamo tutti razzisti, leghisti e merdisti, questi sono una minoranza ignobile, le cose verranno messe a posto di sicuro».
In che cosa Fabrica volterà pagina rispetto al passato? «Non sarà più una scuola, non ci saranno problemi di età, non esisteranno più i dipartimenti e le specializzazioni, sono cose rinascimentali, le divisioni vanno superate. Non manterremo più gli studenti all’infuori di chi andremo a cercare e avrà una borsa di studio, gli altri dovranno pagare per venire a Fabrica. I figli di papà con talento aiuteranno la Benetton a dare la possibilità di ospitare gente brava che non può permetterselo. Fino ad oggi c’era una struttura che funzionava in un certo modo, chiaramente è un po’ una violenza quello che sta succedendo, da un certo punto di vista, ma è chiaro che si farà con l’aiuto di tutti».
Chi porterà la propria esperienza a Fabrica? «Ci saranno conferenze, workshop, laboratori e confessioni. La maestra di scuola, un artista che non riesce ad affermarsi. Cerchiamo persone dalle quali si può imparare qualcosa. Come fa uno a diventare un barbone? Usciranno delle sceneggiature».
Il suo ritorno a Treviso coincide con la candidatura della città a capitale della cultura 2020, lei la sosterrà? «Avete avuto Gentilini, dopo vent’anni di violenza dovete riscattarvi un po’. Mi dovreste dare la cittadinanza onoraria perché vi ho sdoganato, vi ho fatto fare outing (con la definizione di veneti ubriaconi). Sicuramente Fabrica non si può spostare né in Lombardia né in California, sarà sempre a Treviso. Non è male avere il posto, di solito accade sempre per caso».Come è nata Fabrica? «C’era l’idea di fare un centro di dopolavoro, che ospitasse una specie di scuola d’arte. Luciano l’ha capito subito, mi ricorderò sempre, quando lui capisce il potenziale fa gli occhi da gufo. Dopo mezz’ora che parlavamo mi portò a vedere il posto, gli dissi di sì, senza sapere cosa facevo».
E poi? «Dovevamo trovare un nome, ne discutemmo su una barca a Cipro, c’erano gli operai che aggiustavano il motore, i martelli, e lì pensavamo. Mia mamma diceva: dove vèto stamatina? Vo dentro in fabrica. E così è nata Fabrica, non è inglese, xe veneto, con una b. Luciano, ecco il nome».
Per il prossimo futuro la parte artistica andrà di pari passo con lo sviluppo del prodotto? «Sappiamo bene quello che sarebbe bello e si sta già lavorando sul prodotto della primavera-estate 2019, la prima collezione interamente nuova».
Qual è il ruolo della sua fotografia? «Nella comunicazione la fotografia è l’ultimo mezzo rimasto che si assume in silenzio e questo ci mette di fronte alla nostra responsabilità sociale, politica, umana ed etica. La televisione, il cinema, è tutto rumoroso, c’è sempre qualcuno che racconta quello che vediamo. Eppure, ci siamo accorti che c’era l’immigrazione quando abbiamo visto la foto del bambino morto sulla spiaggia. Questo è il silenzio, questa è l’importanza delle fotografia, il concetto è sottile ma fondamentale. Tutto quello che è facile è stupido. La cultura è quello che ci serve per diventare più civili».