Günther Oettinger, 64 anni, commissario Ue al Bilancio, ha ben poco del burocrate non eletto. È un politico puro, iscritto da sempre alla Cdu tedesca della cancelliera Angela Merkel ed ex presidente di un Land conservatore come il Baden-Württemberg. Nei giorni scorsi, Oettinger ha sostenuto che qualunque minaccia del governo italiano di non versare i contributi al bilancio Ue non ha alcun senso politico, né giuridico. Ma in lui si avverte un’inquietudine più profonda: che tra gli italiani e il resto dell’Unione europea si consumi, come con i britannici, una rottura sentimentale prima ancora che politica.
L’agenzia Fitch dice che «l’antipatia verso la Ue e l’euro» nel governo italiano sta costando cara al Paese, perché fa salire gli interessi sul debito. Che ne pensa?
«È dalla crisi che facciamo del nostro meglio, in tutta Europa, per far sì che i bilanci pubblici migliorino. E abbiamo ottenuto molto. Questo sarà il primo anno in cui nessuno Stato membro dovrebbe violare la soglia di 3% del deficit su Pil. Siamo in una situazione molto migliore rispetto al 2010-2012. È interesse europeo, oltre che della Commissione, che l’Italia sia una componente dell’Unione stabile e di successo. L’Italia è uno Stato fondatore e, dopo la Brexit, sarà il terzo maggiore della Ue».
Eppure la retorica in Italia sull’Europa, così come in vari Paesi sul conto dell’Italia, è piena di pregiudizi e mezze verità. Come lo spiega?
«Guardi, io sono di Stoccarda. Dove sono cresciuto io, è impossibile ignorare quanto intensa sia l’integrazione con l’Italia e le sue piccole e medie imprese. È nostro interesse avere un’Italia stabile. Ma i finanziamenti perché un’economia funzioni non vengono dalla Bce; vengono da banche, assicurazioni e altri investitori privati. Per questo è importante essere credibili. Vale per i conti, la competitività, la stabilità di lungo periodo. L’obbligo di mantenere finanze pubbliche sane è europeo, ma anche di ciascun Paese di fronte a se stesso».
Qualcuno nel governo in Italia propone di portare il deficit sopra al 3%…
«Meglio aspettare, il termine per presentare il bilancio è il 15 ottobre. Ora tocca al governo italiano e agli altri presentare la loro legge di Stabilità. Posso dire che in Europa abbiamo regole che non guardano solo ai singoli anni, ma al lungo periodo. L’obiettivo è far scendere il debito al 60% del Pil o sotto. Per questo il limite del 3% di deficit non è la fine della storia. Ci sono livelli di debito pubblico elevati che vengono dai decenni passati e dalla crisi. Bisogna disegnare il bilancio in modo da ridurli in modo credibile».
In concreto che significa?
«Nell’area euro c’è stata un’intesa fra tutti i Paesi perché ciascuno riduca il deficit strutturale (al netto del ciclo economico e delle una tantum, ndr) in modo da portare alla lunga il debito sotto il 60% del Pil».
Rispettare la soglia del 3% di deficit non sarebbe abbastanza?
«Be’, nel 2012 alcuni Paesi erano molto sopra, ma hanno fatto sforzi enormi per risanare. No, certo, rispettare il 3% non è la fine della storia».
Il vicepremier Luigi Di Maio la definisce un ipocrita: lei protesta per le minacce di veto al bilancio Ue, ma l’Europa non fa nulla per aiutare l’Italia sui migranti.
«Mi faccia essere chiaro. Paesi come il vostro sono soggetti a pressioni continue. Italia, Malta, Grecia, Spagna, Cipro sono esposte ai flussi migratori dal mare e la Bulgaria da terra. Concordo che questi migranti vengono nella Ue, non solo nei Paesi di primo ingresso, dunque c’è una responsabilità comune dell’Unione. Infatti c’è solidarietà. La Commissione fa quel che può per sostenere l’Italia, con fondi europei e risorse umane. Quando c’è una nave carica di profughi nel Mediterraneo, cerchiamo di convincere i Paesi a ripartirli. La Commissione Ue non è distratta o sulla difensiva. Cerchiamo di essere positivi, nei limiti dei nostri poteri».
Intanto la minaccia di veto dell’Italia sui pagamenti annuali nel bilancio Ue o sull’accordo pluriannuale resta. La preoccupa?
«Evitare problemi sul bilancio europeo è nell’interesse di tutti, non nel mio personale. Versare quanto pattuito è un obbligo che nessuno ha mai violato dagli anni 50, perché la Ue ha bisogno di entrate per funzionare. Abbiamo pagamenti ogni giorno e sono nell’interesse di mezzo miliardo di europei: finanziamo gli agricoltori, i ricercatori, gli studenti dei programmi Erasmus Plus, l’aiuto allo sviluppo in Africa, l’aiuto per le catastrofi naturali, le infrastrutture».
Gli anti-europei pensano che uno Stato possa assicurare queste funzioni da solo…
«Ma la Ue ha vantaggi diretti e indiretti. Per le imprese significa avere pieno accesso a un mercato unico di oltre mezzo miliardo di consumatori. Garantiamo noi che tutti ne rispettino le regole; interveniamo su Google o Microsoft per proteggere gli interessi dei cittadini; negoziamo con i grandi blocchi sugli scambi commerciali, anche in situazioni complesse come con gli Stati Uniti. Cerchiamo di evitare svantaggi per le nostre imprese e i posti di lavoro».
Alcuni nel governo dicono che l’accordo europeo con il Canada, il Ceta, danneggia l’Italia.
«Guardavo i dati ieri. Da quando il Ceta è in vigore, l’Italia esporta in Canada molto di più. Mettiamola così: in parte il versamento al bilancio Ue, pochi miliardi, può essere visto come il biglietto d’ingresso a un sistema che garantisce, e fa crescere, varie centinaia di miliardi di export italiano».
Come spiega che decine di milioni di italiani vedano la Ue con sospetto?
«Concordo che accusare i governi o i Paesi non abbia senso. Dobbiamo avere analisi comuni seguendo regole condivise. Dobbiamo scambiarci opinioni sulla base di dati oggettivi. Poi miglioriamo qual che c’è da migliorare, anche per creare fiducia. Noi della Commissione non siamo perfetti, ma facciamo del nostro meglio. E sono certo che dopo Brexit nessun altro Paese se ne vorrà andare o vorrà distruggere la Ue».
Alle elezioni europee la competizione sarà fra filo-europei, guidati da Merkel e Emmanuel Macron, e nazionalisti guidati da Viktor Orban e Matteo Salvini?
«Se guardo alle sfide che vengono dalla Turchia, dalla Russia, da Donald Trump, dalla Cina, nessuno dei nostri Stati può pensare di giocare la propria partita da solo. L’Europa è la sola chance che abbiamo di contare qualcosa nel mondo».