Si è fermato alle dichiarazioni il protocollo di intesa con la Cina sulla Nuova Via della Seta. Nessun grande evento in Italia – a Palermo, come preannunciato – per la firma ufficiale. E dossier congelato almeno fino ai primi mesi del 2019. Secondo quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, dopo gli annunci del ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio il negoziato si è incagliato, alla luce delle preoccupazioni diplomatiche che sono partite da Bruxelles e sono arrivate a Roma, anche sponda Farnesina, e per i dubbi dell’area Lega.
La scorsa primavera gli ambasciatori europei in Cina, tra cui quello italiano, avevano condiviso un documento contenente diverse criticità sulla partecipazione alla Belt & Road Initiative (B&R). Nella diplomazia europea si sottolinea come un accordo prodromico a iniziative congiunte dei privati, a determinate condizioni richieste da Pechino, potrebbe comportare rischi in termini di security senza contare l’incognita di affidare asset pubblici a controparti cinesi o di finire nella trappola del debito pubblico troppo dipendente da Est. Inoltre, la Ue sta per portare al traguardo il regolamento sullo screening degli investimenti “predatori” di Paesi terzi, Cina in primis. È opportuno, di fronte a queste valutazioni, che l’Italia sia il primo membro del G7 a firmare il memorandum sulla Belt Road? Finora lo hanno fatto solo Portogallo, Grecia, Ungheria.
Il sottosegretario dello Sviluppo economico Michele Geraci, che anche in virtù dei suoi rapporti di lungo corso con la Cina segue da vicino il dossier, risponde sui vari punti. «Non sottovalutiamo queste perplessità. L’ipotesi di Palermo al momento è accantonata e stiamo valutando se andare ancora avanti con il negoziato. Dipenderà dai dettagli ovviamente, dal grado di “profondità” su cui costruire l’intesa. Al momento il dossier è in una fase “dormiente”, sicuramente non se ne parlerà prima di marzo, considerando che ci sono di mezzo le nostre festività e poi il Capodanno cinese». E gli aspetti critici? «Sulla trappola del debito dico che l’argomento si può sollevare al massimo per Paesi europei più piccoli e che, magari, se deve preoccupare qualcuno, questi sono gli Usa». Quanto al rischio di perdere il controllo su asset strategici, aggiunge Geraci citando l’interesse cinese per i porti di Trieste e Venezia, «noi non vogliamo svendere, vogliamo promuovere co-investimenti». In conclusione, osserva, «sappiamo che dobbiamo andarci con i piedi di piombo, come del resto abbiamo fatto firmando con la Cina l’MoU per collaborare in Paesi terzi e come facciamo con altri Stati».
Proprio il memorandum sui Paesi terzi, con l’Africa come target, va giudicato un risultato intermedio in vista della firma sulla B&R, anche se dal vicepremier leghista Matteo Salvini pochi giorni fa sono arrivate dure critiche alla politica cinese nel continente africano. Secondo molti osservatori, l’Italia non può rimanere completamente al di fuori dalla Belt& Road initiative destinata a realizzare circa 266 progetti da 2mila miliardi. Come dote la Cina ha creato il Silk Road Fund da 40 miliardi di dollari e l’Asian infrastructure investment bank (AIIB) da 100 miliardi, ai quali si aggiungono altri 600 miliardi legati ad altre istituzioni finanziarie.
Tra l’adesione totalizzante di Paesi come l’Ungheria, che ha siglato un MoU già tre anni fa, e l’ostilità preconcetta di altri Paesi, nel mezzo ci sono possibili soluzioni intermedie. L’Italia ha già aperto un varco strategico – la cooperazione in Paesi terzi – che sta dando i suoi frutti. Una filosofia inaugurata dal Governo Gentiloni due anni fa, a Pechino, in occasione del Belt & Road Forum che ha lanciato l’iniziativa urbi et orbi . Su questa falsariga, tre mesi fa, il Governo Conte ha siglato con la NDRC, ovvero la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme cinesi, un MoU in base al quale Italia e Cina si impegnano a collaborare in aree geografiche importanti come l’Africa.
Il ministro dell’Economia Giovanni Tria in un recente intervento ha prospettato ampi spazi per il nostro sistema imprenditoriale per affrontare le sfide della crescita sostenibile e dello sviluppo in queste aree. E lo scorso 29 novembre ha siglato un MoU sul dialogo finanziario con il ministro dell’economia cinese Liu Kun a margine del G20 di Buenos Aires. Un’intesa che prevede uno stretto coordinamento su tutti gli aspetti che possano favorire investimenti bilaterali per un posizionamento migliore delle aziende italiane nei nuovi mercati. Una task force alla quale partecipa anche il Mef è al lavoro proprio sulla B&R per identificare linee di azione e progetti, pacchetti finanziari e iniziative di sostegno istituzionale.