Dopo la Tav la politica industriale per l’auto. Il contenzioso tra Confindustria e governo si allarga e in entrambi i casi l’iniziativa parte da Torino, l’ex capitale dell’industria italiana che non si rassegna a declinare e chiede all’esecutivo di scegliere risolutamente la crescita, le infrastrutture e l’attenzione al settore-principe del Pil italiano (l’automotive).
Per dare forza alla rivendicazione ieri a Torino c’era il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia che ha riunito i rappresentanti di una trentina di aziende compresa la Fiat Chrysler, che pure formalmente è fuori dal perimetro di Viale dell’Astronomia. Il gruppo di lavoro ha — come ha sottolineato il presidente dell’Anfia Paolo Scudieri — l’obiettivo ambizioso di scrivere una proposta di politica industriale capace di governare la transizione tecnologica verso l’elettrico e sul breve di affrontare i problemi produttivi/occupazionali che i venti di recessione portano con sé.
Boccia, apparso ieri spigoloso nei confronti del governo, chiede all’esecutivo di «passare dall’individuazione delle colpe alle soluzioni» e mette in guardia dal continuare a fare la guerra alla Francia con il rischio che «i consumatori di quel Paese non comprino più made in Italy» e, cosa più importante, minaccia di aprire la prima vertenza di politica industriale tra gli imprenditori e il governo. Quanto alle manifestazioni di piazza degli imprenditori Boccia spera proprio «che non ci si debba arrivare, non sarebbe un bel segnale».
Il tutto avviene in una fase in cui non è ancora stata esplicitata la filosofia che Luigi Di Maio vuole imprimere al ministero dello Sviluppo economico (Mise). Se sul versante macroeconomico il ministro sogna di invertire il ciclo con i consumi dei «poveri assoluti» finanziati dal reddito di cittadinanza, non è chiaro come pensi di affrontare le crisi industriali che si troverà di fronte nel 2019 con un Pil che viaggia a quota zero. Finora Di Maio ha oscillato tra una concezione che fa della Cassa integrazione il principale strumento di politica industriale al lancio di suggestioni avveniristiche come il trasporto nel tubo sopraelevato di Hyperloop che umilierebbe le performance dell’alta velocità. Oppure la stampante 3D che renderebbe sorpassate le infrastrutture fisiche per il trasporto delle merci e altre distrazioni mediatiche di questo tipo. È vero che ha istituito un paio di commissioni su intelligenza artificiale e blockchain, ma la dotazione finanziaria è risibile e non si capisce poi perché se il nuovo Mise vuole favorire l’innovazione abbia de facto boicottato il piano Industria 4.0 lanciato dal vecchio Mise e segnato da un buon successo.
In ogni sortita del ministro sembra mancare il giusto mezzo, ideologia pauperista e innovazione spinta convivono in un mix indecifrabile ed è proprio per questo motivo che la Confindustria sente la necessità di richiamarlo a un esercizio di responsabilità criticando in primo luogo i provvedimenti presi, proprio nel campo dell’auto, «con la logica perversa di un’ecotassa che danneggia 14 modelli prodotti in Italia».
Se nel caso della Tav, alla fine, la Confindustria si è ritrovata come alleato la Lega, non è detto che lo schema si ripeta con la politica industriale per l’auto. In continuità con la cultura del vecchio Carroccio, i salviniani sono portati più a proteggere le Pmi sul versante burocratico e fiscale che a interessarsi di ciò che riguarda le grandi produzioni. In fondo, i leghisti possono pensare che il loro provvedimento-bandiera sia la flat tax per le partite Iva, che tende a miniaturizzare il terziario italiano e a congelare la crescita delle aziende artigiane, ma può generare sul breve un discreto consenso.
È più probabile, quindi, che la nuova offensiva del presidente di Confindustria Boccia più che alla politica piaccia al sindacato, giustamente allarmato dalle contraddizioni e dai rischi di una transizione all’elettrico mal governata.