Nel leggere “Me non più” di Massimiliano Costa i flashbacks hanno risuonato insistentemente. Pezzi di vita, ricordi più o meno recenti, pagine permeate del passato che ritornano a galla. “Volevo solo dormirle addosso” (2004), di Massimo Lolli (quanto ci manca la sua funambolica scrittura!), “Studio illegale” (2009), di Federico Baccomo, sono gli antesignani di “Me non più” (2019). Passa il tempo, lo “zeitgeist” rimane; le condizioni di lavoro nelle grandi società di consulenze sembrano non cambiare. Quello che sta cambiando, e già Lolli e Baccomo lo segnalavano, è il nuovo approccio al lavoro delle nuove generazioni. Anche in questo racconto, scritto con sicurezza descrittiva e una prosa ricercata, la resistenza di stare al passo con i ritmi delle notti più buie delle altre si fa sentire. Tanto che le cd. big four (Pwc, Deloitte, Kpmg, EY) fanno sempre più fatica a trovare giovani disposti a fare i “netturbini-manager” davanti alle montagne di slide che vengono a loro richieste.
Massimiliano Costa registra uno spaccato di vissuto a cui lui stesso sembra non aver trovato una soluzione. La sua denuncia presenta il conto prima di tutto sulla carta personale: fai parte di un grande meccanismo dove il prodotto del lavoro rischia di essere al di sopra del bene o del male. Qui l’Everest di slide contiene ovvietà pagate a caro prezzo senza soluzioni se non per l’eccellenza estetica, più volte evocata dai partner (comprimari, in tutti i sensi). Un’estetica che non si coniuga con l’etica. Leggendo queste pagine si ha la sensazione che il lavoro, e il suo dipanarsi lungo l’asse del tempo, non cambi mai. Ma e’ l’ascisse che ha preso una direzione diversa. “Me non piu'” è un altro frammento di quel film, sempre in movimento, che continua ad arricchirsi tra scelte di chi guarda e si sposta, e di chi guarda e si scansa.